6 feb 2018 – Terzo posto in un corsa lunga e dura. Dura per il percorso e per le condizioni. Lunga, a dispetto dei suoi “soli” 184 km, perché i corridori sono andati a finire oltre le 5 ore di gara, contro le abituali 4.40 – 4.45 circa di una corsa normale. Eppure lui, Van Aert, preparato per gare di un’ora secca, arriva terzo, sebbene al limite della crisi, tiene dietro uno dei grandi favoriti come Valverde.
Aiutato dalla tecnica da crossista? No. I professionisti sono abituati a queste condizioni. Quando gareggiano nel Nord Europa, oltre a super classiche come Roubaix o Fiandre, in tutte le gare trovano condizioni spesso molto difficili da gestire. Nei paesi dove l’agricoltura è una componente molto forte nella vita di tutti i giorni, i trattori e gli altri mezzi agricoli portano lo sporco sull’asfalto. La pioggia tipica dei paesi del Nord fa il resto. Spesso in Belgio si gareggia su strade dove non si capisce nemmeno bene se si sta pedalando sull’asfalto o su di una sterrata battuta.
Il risultato di Van Aert è dato dal talento e dalla potenza di questo corridore. In questo ciclismo fatto di potenza, dove il corridore di fondo è relegato alle sole grandi corse a tappe per trovare il risultato, un atleta abituato a far girare la bici sulla sabbia e nel fango sovrasterzando di potenza è competitivo anche sulle lunghe distanze. La mentalità italiana dell’allenarsi su chilometraggi superiori alla gara per avere autonomia è morta. La qualità è tutto. E se Van Aert decidesse di darsi alla strada, per lui trovare la resistenza sarebbe molto facile, roba di pochissimi mesi di allenamento per portarsi in pari, mentre per un atleta allenato sul fondo trovare la potenza richiederebbe grandi sforzi e lunghi periodi di preparazione. E così magari Van Aert potrebbe fare come il campione di ciclocross Stybar, passato alla strada e ottimo settimo alle Strade Bianche.
Stefano Boggia