2 set 2018 – In tre giorni a Varese si sono assegnate un bel po’ di maglie iridate. Nemmeno mettendo insieme i Mondiali professionisti del 2008 e quelli del 1951 si potrebbe arrivare a tante ma c’è anche una differenza: qui non si è trattato di valori assoluti tra professionisti e dilettanti (intesi come quelli di una volta), ma di maglie assegnate alle diverse categorie individuate dall’Unione Ciclistica Internazionale nel mondo amatoriale. Ecco, l’agonismo non c’entra, anzi sì, perché la sfida, col numero sulla schiena, si va vera e combattuta per quel che si può con le proprie capacità fisiche da portare al limite, come in una qualsiasi gara degna di questo nome. E a Varese sono stati tre giorni di gare vere.
Conviene ripartire daccapo. L’assegnazione dei mondiali di ciclismo dedicati al settore delle granfondo è un’idea dell’UCI ben interpretata, seppure con qualche critica, dalla società ciclistica Alfredo Binda, già organizzatrice del Mondiale di dieci anni fa (quello che tra i professionisti fece registrare, a oggi, l’ultima vittoria italiana: quella di Alessandro Ballan). Lo stimolo è venuto dalla Varese Sport Commission, una bella iniziativa della stessa Camera di Commercio di Varese che ha pensato a una via di promozione del territorio tramite lo sport (e ovviamente non solo ciclismo).
Un Mondiale, quello di Granfondo, curioso. Abbiamo già parlato di un regolamento amatoriale che una volta prevedeva manifestazioni più corte, in ragione del fatto che il cicloamatore, per definizione, non si dedica a tempo piano alla bicicletta e che allungare il chilometraggio delle gare dedicate rischia di portare a qualche distorsione. Ma la formula soprattutto nordeuropea piace sempre di più: se deve essere corsa lunga che sia gara in tratti cronometrati (nel senso che si prende il tempo dei singoli, non che si parte a cronometro) inframezzati da tratti più lunghi pedalati con tranquillità e con premio per somma dei tempi. E anche se questo mondiale varesino era una vera e proprio gara unica (130 il percorso lungo) è stata forse la partecipazione di tantissimi stranieri a farne un evento ancora più bello. Molti non si curavano proprio di quella quindicina di maglie iridate da assegnare alle tante categorie. Se la sono pedalata pure di buona lena ma anche alzando la testa dal manubrio, per fortuna. Anche perché il senso ultimo dei promotori era proprio questo: la scoperta del territorio. Sì, ci si doveva qualificare e non era per tutti, ma i pedalatori giunti nel capoluogo di provincia lombardo venivano anche da molto lontano e per molti questo evento è stato il culmine di una vacanza europea (tanti Australiani, ad esempio). Tanto che con il loro spirito hanno coinvolto anche quelli che si sono presentati al via con l’odore di olio canforato e le gambe lucide e in tiro. Insomma, quasi tutti.
Il risultato è stato più di tremila partecipanti di tutte le età, metteteci gli accompagnatori e c’è di che essere piuttosto soddisfatti anche per il territorio. Se proprio si vuole muovere una critica è forse l’insistenza delle gare (cronometro, staffetta, corse in linea) tutte sulla città di Varese. Non tanto per i disagi del traffico che, va detto, sono stati gestiti molto bene da organizzatori e dalla polizia locale che ha saputo far defluire il traffico nei momenti giusti riducendo al minimo i disagi che pure ci sono stati, quanto per un coinvolgimento del resto della provincia che forse avrebbe meritato di più.
Un dedalo di lingue a pedalare e anche a divertirsi. Maglie di tutte le nazioni del mondo che hanno premiato la riuscita dell’evento. Anche più di tutte quelle iridate che, per numero, diluiscono un po’ il significato di Campione del Mondo.
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Guido P. Rubino