Può sembrare sciocco ma a livelli così alti mantenere un atteggiamento tale da dimostrare una superiorità psicologica è fondamentale e può cambiare (leggermente) la classifica. Lo scatto di Pogacar è stato scatenato proprio da Vingegaard, nel momento in cui si è voltato a cinque chilometri dall’arrivo per guardare lo sloveno. Con questo non voglio dire che Pogacar non avrebbe vinto – impossibile – ma quello sguardo ha fatto capire allo sloveno che Vingegaard non ne aveva più, ed ha sicuramente aumentato il danno in termini di distacco sulla riga dell’arrivo.
Differenza di scatti
Gli attacchi di Pogacar sono sempre scatti netti e decisi. Quelli di Vingegaard sono attacchi di passo, dove non parti forte ma ti metti davanti e cerchi di fare il ritmo massimo possibile per sfiancare l’avversario. A differenza di quello che mostra la televisione, non è un passo perfettamente costante: l’attacco di passo prevedere di danzare sul limite della soglia, cercando di rimanere al di sopra delle proprie capacità magari per un chilometro circa, per poi rientrare e recuperare, e poi uscire di nuovo di 1 o 2 chilometri orari dal proprio limite, sperando che sia il momento il cui l’avversario salti.
Vingegaard deve aver terminato questo tratto fuori dal proprio limite ai 5 dall’arrivo ed ha commesso l’errore di voltarsi, segno ineluttabile di sconfitta.
Perché quando fai questo giochino sai benissimo che nel momento in cui sei fuori dal tuo limite devi per lo meno avvertire un segno di cedimento del tuo avversario. Guardi giù, e se vedi la ruota anteriore sua a quaranta centimetri dalla tua, in qualche modo stai vincendo. Se la ruota dell’avversario è a cinque centimetri, hai perso.
In pratica sul Plateau de Beille è successo l’esatto opposto di ciò che successe nel 2022 sul col du Granon, quando fu Pogacar a girarsi verso Vingegaard innescando lo scatto del danese. Cosa sarebbe successo se Vingegaard ieri non si fosse voltato? Probabilmente senza quel chiaro segnale di resa, Pogacar avrebbe atteso ancora uno o due chilometri per scattare, e i danni in termini di tempo sarebbero stati inferiori. Vingegaard ha sicuramente capito di aver perso vedendo la ruota di Pogacar così vicina al suo mozzo, e allora avrebbe dovuto bleffare e stare in testa mantenendo il passo, come si fa molte volte quando si ha paura di essere staccati. Era maestro di questi giochini psicologici Lance Armstrong, che stroncava il suo diretto avversario di allora, Jan Ullrich, solamente guardandolo e facendogli capire di essere il più forte.
Servono a poco i giochini ora con un Pogacar che rifila minuti a piene mani a tutti, lasciando la maggior parte del gruppo a quarti d’ora da lui. Ma sono quelle sottigliezze che fanno la differenza tra un corridore di classe e di mestiere e uno che invece basa tutto sulla prestanza fisica. Nonostante questo, bisogna comunque applaudire Vingegaard per averci provato fino in fondo e in grande stile.
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