15 gen 2019 – Se in Italia fa freddo, ad Adelaide, dov’è appena partito il Tour Down Under, si suda tantissimo. Le temperature attorno ai quaranta gradi centigradi hanno costretto gli organizzatori a rivedere i chilometraggi delle tappe e le squadre si trovano a combattere contro un caldo da Tour de France, o peggio.
È il ciclismo che si ribalta, down under, della tradizionale partenza australiana che fa partire la stagione del professionismo. Mentre molti iniziano a coltivare una condizione che dovrà necessariamente sbocciare tra qualche mese, i “predoni” di tappe sono già all’attacco.
Bell’Italia che va controcorrente rispetto alle previsioni non troppo fauste di un ciclismo giovanile che soffre sempre troppo e le cui grida di allarme sono sovrastate dai trionfi, legittimi e bellissimi, dei nostri in campo internazionale.
C’è da lavorare tanto, ma intanto la Federazione festeggia i campioni del momento che meritano una vetrina conquistata a suon di pedalate importanti. Diventa un simbolo il tricolore a tutta maglia e finalmente bellissimo di Elia Viviani (sarà un caso che a riportare la maglia di campione nazionale al suo splendore sia stata una squadra belga, quindi del vecchio continente, dopo le sofferenze di Astana e Uae con Nibali e Aru costretti al tricolore striminzito, quasi nascosto). Un tricolore che vince dopo la caduta nel criterium iniziale che aveva fatto temere per un attimo, uno spavento che un guizzo da pistard ha cancellato sul traguardo della prima tappa.
Una bella alba per il ciclismo azzurro 2019. Si può andare lontano se non si dimenticano le retrovie.
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GR