9 ott 2012 – C’è un piccolo spunzone che avanza dietro, sui pedali di una volta. Basta dare un colpetto e il pedale viene su quel tanto per infilare il piede nella gabbietta. È un attimo e si parte, niente clic clac dei pedali moderni. Per chi ha qualche capello bianco questo movimento è un meccanismo sperimentato tante di quelle volte che torna subito alla mente. Anche se sono passati trent’anni dall’ultima volta. Anche se quegli scarpini si sono dovuti riportare in vita con olio di gomito e grasso speciale da spalmare sulla tomaia per ricordarle che era in pelle, una volta, non in cartone come sembra dopo tanti anni di soffitta.
L’Eroica, insieme a quei pedali, è ritrovare gesti che sembravano dimenticati: dal cambio con le levette a quel casco che comunque lo allacci ti sembra sempre troppo stretto e ti chiedi quanto protegga veramente.
Eroi, appunto, quelli del ciclismo epico che pedalavano su strade che i tubolari sottili vanno in crisi scappando via dappertutto, mica le hanno inventate per caso le mountain bike.
L’Eroica riporta indietro nel tempo, oltre la propria memoria. È da tanto che non si parte più di notte per una corsa in bici. Ora per fortuna ci sono le luci led, unica modernità ammessa su biciclette così storiche e il fascino è tutto lì, anche in quel fiume luminoso che sferraglia e chiacchiera nel freddo del sole che sorgerà dopo un po’ di chilometri. E intanto c’è da affrontare la prima salita. Quella del Castello di Brolio è sicuramente la più suggestiva. Le fiammelle che costeggiano il percorso disegnano la strada nella notte e annunciano una discesa tutt’altro che facile tra buio e fondo spesso poco compatto che porta la bici dove non t’aspetti.
Ma si fa, andando piano si fa tutto. Chi va veloce rischia di cadere o di forare, inutile pensare come una mountain bike, la bici da corsa ha le gomme sottili, non tengono e a frenare troppo si scaldano i cerchi e i tubolari si spostano rischiando di strappare le valvole. Il giusto compromesso, a volte, diventa fermarsi e far abbassare le temperature. E magari l’adrenalina scatenata da qualche spavento.
È una cicloturistica, il numero al telaio non è per il photofinish e quello sulla schiena ha i caratteri dei corridori antichi. Anche i capelli bianchi non bastano quasi più per averlo nei ricordi.
Si pedala come una volta, pane e salame ai ristori, magari un bicchiere di Chianti ché da queste parti l’acqua serve ad annaffiare le vigne. E poi fatica e polvere. Ecco il ciclismo, lo sport della fatica e della volontà. Sì perché l’Eroica spinge a fare cose che vanno oltre le proprie possibilità. Essere eroici non significa pedalare a tutta ed arrivare freschi, è uno stato mentale che nasce dal momento in cui si ha la consapevolezza di fare parte di un gruppo ristretto. Il gruppo di quelli che sono riusciti ad aggiudicarsi un numero a scapito delle migliaia di richieste che restano insoddisfatte. L’Eroica ormai, da anni, è diventata un fenomeno internazionale. Ci sono anche altre manifestazioni su strade bianche, ma l’Eroica vogliono farla tutti, da tutto il mondo, “di maglia e di lingua diversa”. E se inizi a pensarci non basta il possibile, devi puntare all’impossibile. Perché per sentirsi eroici bisogna andare oltre la forza, quella ce l’hai o non ce l’hai, devi tirare fuori la volontà. Sapere che arriverai in fondo, in qualche modo, anche se non hai più tubolari da cambiare, magari con l’aiuto di un altro ciclista con la chiave giusta.
Si deve pedalare dosando le forze in quest’angolo di Toscana benedetto dalla grazia ma con strade che diventano maledette sotto le ruote. Nostro Signore, qui, ha dimenticato la pianura e allora o sali o scendi. Se sali soffri, e ad andare giù è pure peggio perché lo sterrato vuole concentrazione continua e le pendenze sono spesso cattive, in un verso o nell’altro. C’è chi osa lasciando andare la bici come se fosse una mountain bike, ma le buche non perdonano, così come la ghiaia, e spesso il coraggio finisce nella polvere, oppure a bordo strada a cambiare il tubolare.
La lana di maglia e pantaloncini dopo un po’ punge, ma non dà fastidio, la polvere entra in bocca e nei pensieri e a ogni sorso della borraccia si finisce col masticarne sempre un po’.
Il bello dell’Eroica è la fatica, ma anche pedalare e chiacchierare cercando di indovinare la lingua dell’interlocutore. E si finisce per parlare in inglese anche tra Italiani e accorgersene solo dopo un po’. D’altra parte su 5.479 partecipanti (un record) più di 1.400 erano stranieri, da 33 paesi diversi con viaggi organizzati oppure no. Tutti lì a pedalare.
Che poi c’è poco da dirsi, magari chiedere qualche notizia sulla bici o sul percorso (ma sicuri di voler sapere?), che tanto è meglio andare piano e guai a fare l’errore di considerare i chilometri come se fossero di strada normale. Lo sterrato è “di più”, e magari da fare a piedi che la bici non basta.
Poi un po’ di equilibrismo e fortuna serviranno sempre.
Un po’ di più, forse, si può osare nelle discese asfaltate, la strada è buona e le curve non troppo strette. Ma ad andare troppo veloci si rischia di non apprezzare il paesaggio, e magari saltare qualche cantina da visitare. Le bici appoggiate alle Cantine Ricasoli la dicono lunga sulla processione continua che c’è stata ad assaggiare vino, pedalando o no. Un brindisi e un ricordo con una dedica un po’ speciale a Bruno Marzi, il 56enne che sul percorso dei 75 chilometri ha chiuso gli occhi non per sognare, ma per salire ancora più su.