Ci sono delle gare che scompaginano tutto. Anche quello che si credeva sul ciclismo e su come raccontarlo.
Sono fermamente convinto che una corsa raccontata dall’inizio rischi di diventare noiosa, inutile. Che alla fine rischi anche di fare cattivo servizio al ciclismo stesso come lo fanno certi Gran Premi di Formula 1 all’automobilismo quando ci si sveglia solo per il suono della pubblicità.
Invece “La Ronde” ha detto esattamente il contrario. E a collegarsi all’ultimo ci saremmo persi alcuni momenti importantissimi. Come spiegare quella stanchezza nel finale, altrimenti, senza aver visto le botte da orbi che si sono dati all’inizio della gara? Il contachilometri segnava ancora 250 all’arrivo; eppure si correva come se il traguardo fosse lì vicino.
C’era il vento a stimolare la fantasia ma non c’erano all’attacco seconde e terze linee (ammesso che esistano corridori da poter definire così al Fiandre), sono iniziate a scattare trappole tra i big sin da subito. Van der Poel è dietro? Giù a menare. Pogacar è rimasto attardato? Via ancora di più.
Poi perché si fermano su quella côte? Fanno surplace? No, è tattica anche quella. E appena sentono che dietro si ingolfano e mettono il piede a terra partono a tutta. Per chi è davanti è uno scatto, per quelli dietro diventa un inseguimento in un gruppo che, quando si mette in fila indiana su quelle strade, si misura in minuti.
Ci saremmo persi questo a non vederla tutta.
Poi le tattiche, sì.
La Jumbo si è mossa bene. L’azione di Laporte ha fatto risparmiare le gambe a tutti i suoi. Conta eccome la tattica. Come no.
Poi vedi Pogacar e allora pensi che forse aveva ragione quello di sotto, al bar: contano le gambe. Perché per demolire avversari di quel calibro a martellate sulle pietre ci vogliono delle gambe eccezionali e tanta tenacia. Perché Pogacar, a guardare dopo l’arrivo, faceva a fatica anche i suoi sorrisi che gli vengono sempre facili, anche quando perde. Figuriamoci oggi che ha stravinto.
E il pubblico? Che spettacolo è il pubblico?
Tantissime persone che sono scese in strada per vederla in tv al bar, comunque insieme. Birra a fiumi. Si sono stimate oltre un milione di persone lungo le strade. Ma il bello è che quel fiume festante non era solo nei tratti cruciali, sui muri, era dappertutto. Anche in discesa.
Puoi programmare di andare a vedere una corsa quando i corridori passano in discesa a velocità folle che non distingui neanche le maglie, o quasi?
Sì, se sei nelle Fiandre. Perché qui basta sentire il vento della corsa per essere in paradiso. Ché poi c’è da aspettare un altro anno. E in quell’anno, potete scommetterci, ci sarà da vedere e rivedere le imprese di oggi, mica solo quella di Pogacar. Anche quella di Pedersen, la tenacia di Van der Poel, le capriole di Van Aert per stare insieme agli altri pure se le gambe non erano al massimo.
E poi discutere anche di quelle cadute, assurde e uniche come tutta la corsa. Da quella pazzesca innescata da Filip Maciejuk che, non è caduto, ma ha tirato giù mezzo gruppo che conta a quella del nostro Davide Ballerini, arrotatosi malamente per una volata di rincalzo, vittima di stanchezza e poca lucidità.
Sì, è stata tutto questo La Ronde e bisogna dargliene atto.
Ed è appena iniziata la settimana santa del ciclismo. Il conto alla rovescia verso la Parigi Roubaix parte ora.
Un Fiandre da Pogacar in grande spolvero. Secondo Van der Poel