8 ott 2014 – Buio, l’Eroica è buio. Buio e luce, l’Eroica è anche luce. È un’esperienza personale, ci sono diversi modi per viverla. Comincia col buio quando si inizia a chiamare mattina la notte. Un silenzio speciale di stelle rotto dalle zip delle tende che si risvegliano nel campo di calcio di Gaiole in Chianti. Freddo e poche parole, c’è un giorno da matti davanti, aspettato da un anno meno un giorno, quello dell’ultima Eroica. Bici e maglia da indossare, lana che pizzica e poi in fila a prendere il via, il timbro e il controllo bici. Buio di strade d’asfalto e poi in terra battuta, lumini a olio, prima di scendere giù a rotta di collo o dosando bene i freni. Meglio essere prudenti che al primo ristoro il meccanico ha già cambiato trenta tubolari e siamo solo all’inizio.
Il buio del ciclista ha forme diverse e il sole che deve sorgere può essere il problema minore. C’è un buio che cresce dentro quando le forze se ne vanno. Il foglio di viaggio con i timbri che aumentano diventa luce cui aggrapparsi quando la fatica mastica la polvere e non lascia spazio ad altri ragionamenti. Il buio del “chi me l’ha fatto fare” fa più chiara la luce degli ultimi chilometri e dell’abbraccio che attende all’arrivo e bagna gli occhi. Il ciclista vive di esperienze solitarie, si è da soli in bicicletta ma all’Eroica no, c’è sempre qualcuno affianco e anche se gli amici di sempre non sono fortunati nel sorteggio basta guardarsi intorno per averne altri cinquemila e più. Niente avversari.
Sono passati in 5.608 al timbro di partenza dalle cinque di mattina in poi. Tanti con le bici non regolari cui veniva ritirato il foglio di viaggio e invitati a mettersi in regola dal meccanico in piazza che, in una mattina, ha tirato fuori chissà quanti fili dei freni dei ciclisti sbadati o ingenui. Altri, sciocchi e disonesti, hanno cambiato la bici poco più in là per non sottostare alle regole. Qualcuno ha fatto di peggio partecipando con numeri falsi. Buio morale, quello più brutto, lontano anche dal buio morale con cui qualcuno aveva definito gli ultimi 200 metri dei velocisti che si giocano il traguardo.
Nessuna vittoria all’Eroica, nessuna individuale perché l’Eroica la vincono tutti quando tagliano il traguardo e non chiedono di più perché fanno parte dell’evento, non vi partecipano solo.
Buio, luce e numeri rosa dell’Eroica dedicata alle donne. Il numero uno assegnato a un’incredula Alessandra Cappellotto, il 2 a Marianne Vos, l’11 a Pauline Ferrand Prevot, “la faccia giusta e tutto quanto il resto”, compresa la maglia iridata di lana della fresca campionessa del mondo di Ponferrada, una settimana fa. Arcobaleno, altro che buio.
E poi le altre, tantissime, in bicicletta come hanno potuto e belle più che mai, senza fretta e tenaci e che non mollavano mai. Da 38 a 209 chilometri (conteggio ufficiale) determinate, con una dedica in tasca, anche solo per se stesse. All’Eroica dopo la luce torna il buio, quello vero, come quei corridori del Giro d’Italia 1914 che la Gazzetta diceva che “dovevano essere forti” e partivano di notte e arrivavano di notte.
Si riaccendono le luci per finire l’ultimo tratto. Chi ha già messo la bici in macchina e torna a casa li trova lì, che salgono e non tagliano dritto. La fanno tutta nonostante il buio. Li vedi e pensi “coraggio”, poi li invidi e li ammiri.
Le parole diventano luce allora, niente solitudine. Sudore diventato sale, borracce vuote che neanche più il Chianti, tornato nero, potrebbe riempire. Ultimo sforzo e quel cartello di Gaiole, “paese de L’Eroica” che quando lo vedi cambiando rapporto per l’ultima volta sai che parla di te e ti senti un pioniere. Non è solo una biciclettata, hai fatto qualcosa di più. L’Eroica è un simbolo e una sfida, più di una gara e non finisce in un giorno. Qualcuno ha commentato che dopo il giorno dell’Eroica inizia l’inverno, si ripone la bici. Ma sei più forte che mai anche se andando via non hai più sguardi da lasciare. Solo fatica e polvere che aspetterai ancora perché ne vale sempre la pena qui.
Guido P. Rubino