8 dic 2013 – Woking, Gran Bretagna, un posto che se te lo dicono devi cercarlo sulla carta, un po’ di chilometri a sud di Londra. Woking, su internet porta direttamente al motivo per cui questo paesino è famoso nel mondo: è la base della McLaren: Formula 1 e non solo. E tra le auto storiche e moderne, da quella di Bruce McLaren all’ultima di Button e Pérez, sono comparse le biciclette da qualche anno, quando iniziò la collaborazione con Specialized. Il primo approccio fu addirittura trionfale. Al di là del progetto di ottimizzazione della fibra di carbonio grazie alla tecnologia McLaren ci fu l’immediato trionfo di Matthew Goss, pochi giorni dopo, nella Milano Sanremo del 2011. Tecnologia, marketing e fortuna (cercata, certamente).
Il primo approccio, dicevamo, è servito a ottimizzare un telaio già considerato ottimo nel disegno. Non fu ritoccata la forma ma si lavorò sul carbonio, più rigidità e anche riduzione di peso, conseguenza naturale di quando si ottimizzano i materiali, e un 15 per cento in meno non è male per un telaio già leggero.
Ora si va oltre. Siamo andati a Woking a scoprire la nuova frontiera di un progetto che porta la bicicletta ai massimi livelli di tecnologia.
Il McLaren Technology Centre è un posto incredibile. Sembra ispirato a un film di fantascienza, ma poi sono andati oltre. Un’eccellenza di architettura disegnata con la luce. Spazi organizzati e zone vietate. Meglio muoversi sapendo cosa si deve fare, altrimenti interviene qualcuno a rimetterti a posto. E quello che ha accennato a correre per fare prima viene redarguito: “Not run, only walking…”, ma come, nel tempio della velocità non posso correre?
Ron Dennis vi controlla dall’alto del suo ufficio in posizione strategica tra il laghetto artificiale (che non è lì a caso: le sue acque servono a dissipare il calore prodotto dalla galleria del vento che si trova sotto) e l’ingresso che dà sulla storia e la ricerca. Un posto dove ogni settimana vengono prodotti seimila (6000!) nuovi componenti per uno sviluppo continuo della Formula 1 e delle auto di serie. E per ora, delle biciclette, è stata solo pensata la fibra di carbonio…
Visto da fuori può sembrare un enorme videogame, ma il centro di simulazione della McLaren è probabilmente uno dei sistemi più evoluti per testare macchine e piloti sulla pista che si sceglie tra quelle memorizzate nel sistema. Un’enorme playstation in grado di prevedere il comportamento di ogni singolo componente prima ancora di produrlo. Basta inserirne le caratteristiche e la macchina simula il comportamento in base a quella nuova caratteristica. Facile a dirsi.
Ora si fa anche con le biciclette. Ecco la novità introdotta per migliorare ancora di più una bicicletta che, per certi versi, è già perfetta come la Specialized Venge McLaren.
Una bici piena di sensori
Per prima cosa è importante sapere cosa avviene sulla bicicletta. Per questo motivo si è preso un telaio (in questo caso il modello Roubaix di Specialized) e lo si è equipaggiato di sensori nei punti strategici: mozzi (quindi: ruote), reggisella, attacco manubrio e scatola del movimento centrale. Da qui si è potuto registrare ciò che avviene realmente su diversi fondi stradali.
Il software della Formula 1
Simulazione: ecco la parola chiave. Ma simulazione evoluta e dinamica. Tanto che tra galleria del vento e condizionamento meccanico, è possibile anche prevedere le differenze con uno strato di vernice in più. Fantascienza? No, di più.
A mettersi sulla bicicletta è stato proprio il responsabile del design della McLaren, Duncan Bradley, direttore del design di McLaren. La bicicletta, così come una macchina di Formula 1, è stata trasformata in un (complesso) modello matematico che può essere analizzato e “previsto” da un software che tiene conto di tutte le variabili. La simulazione virtuale è stata sovrapposta alla prova reale su strada per verificare la correttezza del modello matematico. Una volta verificata la corrispondenza tra reale e virtuale si è potuto procedere ad analizzare tutti i parametri e le sollecitazioni della bicicletta.
«Il fine del lavoro – ha sottolineato Bradley – è arrivare ad una struttura in grado di riuscire ad assorbire le asperità della strada e rendere la bicicletta più veloce possibile. Il nostro fine è la velocità.
«Abbiamo lavorato per ottenere una risposta per capire come risponda ogni singola parte ed ogni singolo componente – ha spiegato David Belo, l’ingegnere addetto alla simulazione – andando oltre a quello che solitamente si chiede ad una bicicletta: quanto pesa?
«Sono tante le componenti in gioco e nel modello creato abbiamo inserito la possibilità di analisi su diversi terreni e condizioni climatiche. L’analisi non deve riguardare solo condizioni di utilizzo normali, ma deve confrontarsi sulle reali condizioni che la bicicletta trova durante il suo utilizzo a cominciare anche dalla flessibilità e alla reazione delle gomme e poi di seguito dal comportamento delle ruote al fine di rendere il massimo in velocità».
La simulazione, infatti, deve tenere conto di tutte le componenti vettoriali delle sollecitazioni subite della bicicletta. Ogni ostacolo che si trova lungo la strada viene studiato per ottenere una reazione da parte del mezzo che assicuri il massimo rendimento nella velocità orizzontale.
ll principio su cui si basa il progetto è “smoother is faster” (liscio è più veloce) dove per liscio si intende proprio il totale della scorrevolezza della bicicletta rispetto anche alla sua rigidità. Non è detto che un telaio più rigido sia necessariamente più veloce, ma lo è quello che reagisce meglio alle sollecitazioni. E il fine di questo sviluppo è tutto nella velocità
Formula 1 docet.
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