Lottiamo perché le donne del futuro, felici e stimate, rivolgano pensieri all’umiliazione e al dolore di quelle che le hanno precedute”.
Queste sono parole, scritte nella prima metà del 1800, da Cristina Trivulzio di Belgiojoso, principessa, carbonara, libera pensatrice, giornalista, rivoluzionaria. Mi preme iniziare così questo racconto che non chiamerei articolo perché non vuole essere un elenco di cose o imprese o rivalsa di nulla, di nessun posto nel mondo. Mi preoccupo di iniziare così perché il cammino che oggi, da donne, abbiamo fatto, non deve farci dimenticare né chi ha subito umiliazioni in passato, né chi ha lottato fieramente per l’uguaglianza dei diritti come esseri umani.
Ognuno, come individuo, senza distinzione di genere, razza, orientamento sessuale o credo religioso e politico, ha il diritto e probabilmente il dovere di trovare il proprio posto in questo mondo così strano e a volte ostile. Ce lo hanno insegnato tutti i nostri eroi del passato che hanno pedalato per strade impervie, attraverso sterri lunghissimi e faticosi. Così, rispolverando ricordi e pensando a cosa rappresenta per il ciclismo femminile questo 2024, i cento anni di Alfonsina Strada al Giro d’Italia, ho avuto davanti agli occhi l’espressione di Margherita Hack, immortalata nel video del gruppo Têtes de Bois – Alfonsina e la Bici.
Il coinvolgimento di Margherita Hack, la celebre astrofisica scomparsa nel giugno del 2013, si concretizzò grazie ad Andrea Satta, il cantante dei Têtes de Bois, anch’egli un personaggio particolarissimo che nella vita di tutti i giorni fa il pediatra ma è anche scrittore e musicista, artefice di tanti concerti in cui a pedalare per dare energia al palco è il pubblico. Lui stesso racconta di averla contattata e di averle raccontato del progetto, della canzone e del video. Lei, Margherita, era una persona estremamente ironica e con entusiasmo accettò, a patto di poter suonare la tromba nel video e tenere in mano un saldatore. Accadde questo: Margherita in tenuta da lavoro, con una tuta da meccanico amaranto, che a me pare tanto il colore de L’Eroica, così come fosse un’ulteriore metafora implicita della fatica e dell’impresa, intenta a riparare telai, a oliare catene e saldare tubolari. E Andrea che nel video canta una strofa:
“Ad una stella che mi guardava dalla cucina ho dato il nome Alfonsina”
Margherita accettò non solo perché amava quel personaggio ma perché si sentiva così simile a lei, ad Alfonsina Strada, che con la sua testardaggine volle intraprendere una carriera tipicamente maschile. Voleva rendere omaggio a una donna altrettanto combattente come lo era stata lei stessa e come si sentiva ancora di esserlo. Il Diavolo, La matta in gonnella che osò partecipare al Giro d’Italia del 1924, fu d’ispirazione per Margherita Hack, la più singolare, eclettica, passionale e allo stesso tempo garbata astrofisica e attivista italiana del novecento.
Ci sono due libri molto belli: un romanzo autobiografico “La mia vita in bicicletta” e una splendida graphic novel “Margherita Hack in bicicletta tra le stelle”. Attraverso queste due letture si comprende immediatamente in che modo Margherita abbia usato la passione della bici non solo per le sue lunghe pedalate ma anche per spiegare i grandi misteri dell’universo. La bici diviene una metafora del suo viaggio da scienziata e di donna e la sua curiosità la spinge a salire in sella e pedalare nel mondo. Quella curiosità sarà la stessa molla che la appassiona all’astrofisica. Lei ha trasformato la sua curiosità per il mondo in una vera e propria esplorazione dell’universo, pedalando tra costellazioni e galassie.
“Mi è sempre piaciuto fare grandi girate in bicicletta. Ho avuto la smania della bicicletta. Mi piace correre e quando vedo un corridore subito cerco di stargli dietro. Poi mi piacciono le discese. Mi ricordo che a Firenze mi buttavo giù dal Pratolino sopra Fiesole: Sapevo che erano 18 chilometri e volevo farli in 18 minuti per sapere che andavo a 60 all’ora. Avevo l’incoscienza dei 18 anni. Ora penso che mi si potrebbero rompere i freni.
Per Margherita la passione per la bicicletta era anche ammirazione per coloro i quali ne avevano fatto la storia.
“A quei tempi mi era capitato di leggere delle imprese di Girardengo, Bottecchia, quando le tappe del Giro erano spaventosamente lunghe. Un anno la tappa del Giro si concluse proprio a Firenze e io ero uscita di casa nella speranza di vedere i corridori da vicino. A un tratto mi trovai davanti Guerra e ricordo che gli toccai il braccio come fosse stato qualcosa di straordinario, una reliquia miracolosa”
Attraverso le sue pedalate, Margherita ha sfidato gli stereotipi di genere e ha dimostrato che anche le donne possono raggiungere le stelle, sia letteralmente che figurativamente, che non esiste un mestiere da uomo e uno da donna, che non esiste distinzione tra sesso forte e sesso debole ma che esistono ciclisti di ogni genere, astrofisici senza declinazioni, esploratori del mondo e dei suoi misteri senza desinenze maschili e femminili.
Noi siamo figlie delle stelle.
Lo diceva spesso Margherita.
Una frase che ci apre al mistero del passato, del presente e del futuro.
Di donne. In bicicletta.