24 set 2020 – La cronometro del Tour de France è stata un accavallarsi di emozioni. A un certo punto, apprezzando il gesto atletico, eravamo tutti divisi dall’applaudire l’impresa che stava compiendo Pogacar e la voglia di spingere Roglic per trarlo dalla sua disperazione.
Il ciclismo si è condensato in questi due corridori, ma c’è anche di più. Da una parte il ragazzino esplosivo che ha saputo domare la corsa e tenere i nervi saldi in più di un’occasione. Pensate cosa deve essere stato trovarsi a un minuto, così, per disattenzione quel giorno dei ventagli. Pensate che clima teso doveva esserci all’interno del team quando Fabio Aru ha deciso di fermarsi senza neanche considerare che avrebbe potuto dare una mano.
Pogacar, oltre che con le gambe, ha tenuto con la testa. Alla sua età e con la sua esperienza quanti ciclisti avrebbero tenuto a quel modo.
Però c’è un’immagine che nell’era super tecnologica del ciclismo che stiamo vivendo, riporta tutto dentro l’alveo della fatica e dell’esaltazione dell’uomo: questa che abbiamo messo in apertura, di Primoz Roglic.
In questa foto sa già di vestire una maglia gialla che non è più sua, un sogno bruciato da rimanere increduli: per lui erano già pronti tutti gli accessori gialli per il trionfo.
E invece è diventato improvvisamente umano. Il ciclismo super tecnologico si è messo da parte per fare spazio alla disperazione umana di quello sguardo.
Roglic si è scomposto già in quel cambio bicicletta fatto con troppa foga che alla fine gli ha fatto perdere pure qualche secondo.
Nella salita ha avuto improvvisamente misura della disfatta e allora poteva arrendersi oppure proseguire cercando di dare quel poco che aveva ancora dentro e anche di più.
Ecco, ci piace immaginare che i dati del suo misuratore di potenza, del cardio, abbiano segnato valori senza senso: quelli che vanno oltre la logica e si possono spiegare solo con la forza di volontà.
Roglic ha allargato i gomiti, ha cercato di respirare aria che non bastava più, ha spinto sui pedali in barba alla potenza di soglia e all’acido lattico. Ha mischiato lacrime e sudore e si è scomposto. L’immagine sul traguardo rende merito all’uomo mentre il cronometro distruggeva il corridore.
Da ciclista super tecnologico si era trasformato nell’icona della fatica. Quel casco messo male, ai limiti del regolamento, non più aerodinamico che di aerodinamica non c’era più bisogno.
Solo umanità. Il ciclismo tornato alla sua essenza.
GR