Bisognerebbe partire direttamente col piano B, in un’inversione virtuosa che alla fine lascerebbe soddisfazione invece che rammarico. Comunque vada.
Il Giro d’Italia deve alla sua storia una Cima Coppi degna del titolo che porta e non stare sempre al limite della delusione.
Anche se non annunciata ufficialmente, la rinuncia al Passo dello Stelvio appare cosa praticamente definitiva (felici di ricevere smentite, ovviamente). Pare che il problema non sia tanto di togliere la neve abbondante caduta ultimamente, quando l’aumento di temperature che renderebbe instabile la neve con rischio di slavine. Chiaro che a queste condizioni non si possa fare niente.
Che non è questione di coraggio dei corridori ad affrontare una giornata fredda. Che ok, il giorno del Gavia ancora ce lo ricordiamo fieri di essere ciclisti o almeno appassionati. Ma quella tappa fu una medaglia e un monito chiaro: mai più. Si rischiò oltre il dovuto come in altre situazioni di congelamenti eccessivi patite dai corridori che sono atleti di uno sport, non soldati di Campagne in Russia. E sulla salute non si scherza.
È che, col rischio che fa paura si sono fatte retromarce e date allerte, con tanto di minacce di scioperi che hanno intrappolato gli organizzatori del Giro d’Italia in più di una occasione.
Insomma, meglio evitare in partenza che lasciar prendere decisioni ai corridori che poi si sa, ormai, come va a finire.
Una questione che sta… a monte
È un gioco di parole, una provocazione, ma non solo. Perché il Giro d’Italia da tanti anni paga una tassa all’ordine del ciclismo mondiale che a metà anni 90 ha spostato la Vuelta a Espana a settembre anticipando il giro di quei dieci giorni/due settimane che fanno la differenza.
Di tappe epiche e innevate ne abbiamo avute anche prima di questo spostamento, ma le situazioni critiche erano più rare. È stato detto tante volte: due settimane di differenza, in montagna, possono cambiare le cose di parecchio. Abbiamo già certificato, cartine meteo alla mano, come nei giorni successivi a tappe annullate in passato, la situazione fosse poi migliorata molto spesso.
Insomma, con la scusa di decongestionare la primavera, togliendo la Vuelta da ridosso al Giro d’Italia, ci siamo ingoiati il boccone che si è rivelato amaro dell’anticipo nel calendario con lo sgambetto del meteo.
Cosa possiamo fare ora?
Eliminare in partenza certe salite che hanno fatto la storia sarebbe diabolico, sbagliatissimo, nemmeno da prendere in considerazione. Fare leva sull’UCI per spingere in una revisione del calendario è l’unica via percorribile e pure percorsa, con i risultati che vediamo: siamo ancora qui a parlarne.
Nell’equilibrio mondiale con Tour e Vuelta alleate sotto l’egida di ASO il peso economico ha un valore incontrastabile, al momento. L’importante è non mollare e fare crescere il Giro d’Italia sempre di più. Come? Dal punto di vista mediatico e strategico.
Questo Giro si sta rivelando molto bello e ben studiato anche nel percorso. In questa prima settimana gli organizzatori hanno dimostrato di aver avuto ragione riuscendo a dare spettacolo in una corsa che si riteneva fin toppo scontata.
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La soluzione è semplice. La RCS ceda il Giro d’Italia all’ASO: Solo così la corsa rosa godrà di rispetto e considerazione nel quadro mondiale del ciclismo.
Dal mio punto di vista sarebbe una resa definitiva al Tour de France.
Possiamo avere la forza per risalire.
– Guido Rubino
Concordo e credo che il Giro con una dimensione ridotta rispetto al Tour permetta ancora arrivi in luoghi spettacolari (ad esempio sulla laguna di Venezia, cronoscalate che potrebbero finire all’interno di castelli e/o forti, strade bianche…. Penso che si dovrebbe osare di più fregandosene del calendario posticipando la partenza di qualche settimana per farlo finire ad inizio giugno, quindi festeggiando festa nazionale e scongiurando il pericolo neve sui passi altissimi, anche partendo dal sud per valorizzarlo maggiormente. So che ci sono molti ostacoli ma vorrei che il Giro si prendesse il suo spazio e non carcasse di copiare il Tour