3 mag 2016 – A non smetter mai di leggere storie di biciclette e di campioni, succede quel che succede a don Chisciotte che perde il senno a furia di leggere romanzi cavallereschi. Così, all’Eroica Primavera mi sono sognato di essere Aldo Bini.
Aldo Bini, classe 1915, vent’anni di carriera professionistica, dal 1934 al 1955, una sessantina di vittorie e molte maglie: Maino, poi Bianchi, Viscontea, poi ancora Bianchi, e nel dopoguerra, Legnano, Benotto, Ganna e poi ancora un anno alla Bianchi, e infine nella Bartali di Ginettaccio.
Di Bartali era quasi coetaneo. A inizio carriera, da dilettanti e quasi compaesani – Bini di Bagnolo di Montemurlo, ora provincia di Prato, allora a 8 km da Pistoia; Bartali di Ponte a Ema, periferia di Firenze – Aldo e Gino si spartivano le vittorie: dove andava a correre l’uno, non andava l’altro. Così non si rubavano i premi. Bini aveva tutto: classe, forza, spunto veloce nel finale. Ma non aveva la costanza, la dedizione alla sofferenza di Bartali. E così rimase un’incompiuta.
Marco Pastonesi ha raccolto ne I diavoli di Bartali (in uscita in libreria la settimana prossima, per Ediciclo Editore) la testimonianza della sorella di Aldo, Alfa Bini: «La prima bici che mi ricordo non era di Aldo, ma del babbo: una bici inglese, nera, alta. Il babbo mi caricava sulla canna e mi portava in salita, senza fare fatica. Era un uomo forte. La seconda bici che mi ricordo era di Aldo. Non aveva grande passione per lo studio: concluse la quinta elementare, a fatica, quasi a botte, perché Aldo aveva paura del babbo. Poi il babbo mandò Aldo a lavorare in una fattoria, il suo compito era portare taniche di latte da Montemurlo fino a Prato e Firenze, 40 km ad andare e 40 a tornare, ma su un triciclo con due ruote davanti e una dietro. Così cominciò la passione per il ciclismo. Tanto che, quando non lavorava, Aldo correva, e vinceva.»
Prima della guerra, a inizio carriera tra il 1935 e il 1937 Bini corse quasi alla pari con Bartali: due Giri del Piemonte, una tappa e cinque giorni in maglia rosa al Giro del 1936 e tre tappe l’anno seguente. Secondo ai Mondiali del 1936, un Giro di Lombardia nel 1937. Poi la guerra, e Bini, alto, bello, fascinoso, al punto da essere ribattezzato il Duca di Montemurlo, perse le ruote dei migliori. Dice Alfa: «Mio fratello Aldo, a suo modo, era un artista: genio e sregolatezza, si curava e poi si buttava via, guadagnava e sperperava.» E un debole per le donne.
L’altro giorno, prima dell’Eroica, per provare la gamba, ho inforcato il vecchio ronzinante Olmo e sono andato a fare una passeggiata. La freccia diceva Murlo e a me è venuto in mente Montemurlo e Aldo Bini. E allora, rinciulito come un idalgo sui pedali, ho cominciato a sentire le voci di dentro, quelle che facevo da bambino imitando le telecronache di Dezan: “Ed ecco scattare Aldo Bini, il duca di Montemurlo… Uno scatto potente, nessuno riesce a replicare…”. Sono arrivato a braccia alzate sulla piazzetta di Murlo, che si chiama piazza delle Carceri. Liberato e in fuga nella mia follia di bambino ciclista. Intanto il temporale era lì, a ricordarmi che sono un paracarro. E non il duca di Montemurlo.
Gino Cervi, Eroico