Paolo Roccatagliata è quel consigliere (Municipio 2 di Milano) assurto agli onori delle cronache per una frase decisamente infelice su chi va in bicicletta: “I ciclisti se la cercano, non rispettano le regole. E le ciclabili hanno rotto” è quanto riportato da molti media e attribuito a Roccatagliata commentando proprio gli ultimi incidenti con vittime a pedali.
Infelice, infelicissima uscita. Al punto che lo stesso consigliere, probabilmente meglio consigliato dai suoi stessi sodali ha dovuto fare una repentina marcia indietro a mezzo social, che altro?
Il testo, che per pietà vi riportiamo in minuscolo per evitarvi il colpo del tutto maiuscolo utilizzato dal consigliere per urlare le sue scuse, è questo:
Avrei preferito intervenire in Consiglio di Municipio ma anticipo le mie scuse per le frasi e le parole dette in Consiglio. Ripeto le mie scuse per le frasi e le parole dette in Consiglio. Mia mamma aveva 70 anni fu’ violentemente urtata e fatta cadere sul marciapiede da una bicicletta che veniva alle sue spalle senza fermarsi. Da allora la mia forte antipatia verso le biciclette che non rispettano il rosso. Che salgono sul marciapiede anche quando hanno la pista ciclabile. Che vanno contromano. Una forte antipatia agli automobilisti che non rispettano il codice della strada. Le persone da proteggere sono i bambini e gli anziani. Ancora scusatemi buona giornata.
E va be’ (qui l’apostrofo di elisione ha ragione d’essere) le scuse le accettiamo pure, ma certo lo strappo resta e pure mal cucito visto si pente dell’uscita infelice ma poi giustifica l’odio che continua a provare. È difficile accettare che un politico possa fare esternazioni del genere pure se dettate da uno sfogo estemporaneo. Al bar, forse, si può concedere qualcosa, dargli una dimensione diversa, ma in un contesto ufficiale no e un politico dovrebbe, per definizione, misurare e valutare sempre la portata delle sue parole. Perché non ha detto “maledetto quello che ha fatto cadere mia madre” che sarebbe stato comprensibile, ha detto “i ciclisti se la cercano”. Si finisce col colpevolizzare la vittima rischiando di istigare qualche imbecille.
Proprio ieri ho assistito a un episodio riprovevole in città (Varese): un ragazzo con un monopattino procedeva sulla carreggiata chiacchierando con una persona sul marciapiede. Il problema (e certamente la colpa) era che il ragazzo col monopattino – seppure a passo d’uomo – procedeva contromano, mannaggia.
Un automobilista, che lo ha visto perfettamente, ha pensato bene di punirlo allargandosi a sufficienza da toccargli il manubrio con lo specchietto (e mandandolo pure a quel paese). Il ragazzo col monopattino ha incespicato un po’, non è caduto proprio perché andava piano e nei suoi occhi c’era lo stupore per una sentenza già emessa e una pena sovradimensionata alla sua infrazione.
Mi sono venute in mente le parole del tal consigliere. Probabilmente il criminale (lo definiamo senza sconti chi cerca di provocare un danno fisico a qualcun altro, tanto più con un mezzo sproporzionato rispetto all’altro) ha pensato che quel ragazzo “se la meritava” ed ha agito.
Ecco, caro assessore, dov’è l’inaccettabilità delle sue parole: perché una cosa così, in un contesto ufficiale (e starebbe male pure al bar, mi creda) assume un valore gravissimo e rischia di legittimare degli imbecilli che già ci sono sulle strade (sì, alcuni anche a pedali, lo dico prevedendo appunti che già immagino e già letti altrove, sebbene in bicicletta si è sempre nel ruolo più debole, colpa o meno, tenetene sempre conto).
Infine ripeto la solita considerazione statistica: il ciclista vittima di incidente è sempre (pochissime le eccezioni) quello che pedala da solo rispettando il Codice della Strada. Perché quelli che si comportano male, si vedono anche di più e chi guida un’auto, mediamente, ha pensieri meno sciocchi di un consigliere comunale. La mobilità e la sicurezza stradale, invece, sono una cosa seria e andrebbero affrontata in maniera molto diversa.
Sono appena stato vittima (8 giugno) di un motociclista che durante un sorpasso avventato mi ha causato una tremenda caduta che mi ha comportato la bellezza di 13 fratture. L’intervento commentato nell’articolo, letto alcuni giorni dopo, è stato la ciliegina sulla torta.
Io sono stato vittima di una certa impunità di cui gode chi, sulle strade statali, disegna traiettorie come se fosse in pista (nota a margine: il motociclista non si è accorto di niente)
Come tutti i ciclisti, non sono perfetto: ebbene si, talvolta passo con i rossi e può darsi mi macchi di altre infrazioni. E spesso vedo molti ciclisti commettere imprudenze che non condivido. Ma ciò non cambia la sostanza.
Quel che – figlio dell’astio che domina le discussioni sulla bicicletta anche con chi mi conosce – non viene mai valutato sono le conseguenze. Se commetto una infrazione, lo faccio sempre e solo se so di non essere imprudente e di non fare danno a nessuno. Cosa che invece non è evidentemente considerata a sufficienza nè da molti utenti della strada nè, e questo è ancora più grave, da una buona parte della politica, locale e non.
Sulla strada siamo l’anello debole, è una evidenza sulla quale non possono esistere opinioni diverse. E a questo giro, purtroppo, ho pagato abbastanza a caro prezzo la disattenzione e la superficialità con le quali spesso veniamo ridotti al ruolo di semplice “ostacolo”.