17 feb 2017 – C’è una polemica che sta montando sul web con un’eco che rimbalza sui social e su siti di informazione: riguarda la sicurezza in bicicletta. L’argomento è attuale più che mai perché gli incidenti sono continui, ma in questi giorni a far ribollire gli animi c’è la campagna per la sicurezza dei ciclisti che vede tra gli attori la Federazione Ciclistica Italiana, la Polizia di Stato e il Ministero dei Trasporti insieme all’associazione Ania.
Perché questa levata di scudi contro il progetto da parte di associazioni che promuovono la bicicletta? Perché c’è una cosa che i ciclisti non riescono a digerire: essere visti loro come la causa della scarsa sicurezza su strada. È vero che troppi ciclisti, agonisti o meno, interpretano la bicicletta come un lasciapassare al di sopra delle regole e spesso si lanciano in azioni pericolose nel traffico, ma è pur drammaticamente vero che la maggior parte degli incidenti stradali in cui sono coinvolti un ciclista (che ha sempre la peggio) e un’automobilista vedono la colpa proprio a carico di quest’ultimo.
Allora ben vengano le iniziative che tendono a educare i giovani ciclisti (il via della campagna parte proprio dai bambini) al comportamento corretto in bicicletta e al rispetto del codice della strada (saranno anche loro futuri automobilisti), ma poniamo l’accento soprattutto sulle cause della maggior parte dei ciclisti: gli automobilisti.
I video pubblicati vanno pure bene. Ma facciamone altri dove si fanno vedere davvero ai ciclisti i rischi più frequenti: sportelli che si aprono, precedenze non rispettate, automobili che fanno sorpassi troppo stretti e così via. Li stiamo preparando, vero, anche quei video?
Parliamo di abbigliamento corretto, utile a farsi notare, anche di usare il casco sempre: un’abitudine facile da prendere, soprattutto con i caschi moderni. Però evitiamo di pensare ai ciclisti come a un popolo da mettere in una riserva chiamata pista ciclabile o, ancora peggio, aumentando gli obblighi cui questi si devono sottomettere. Anche il casco, che non finiremo mai di dire quanto sia utile e necessario, non è una buona idea renderlo obbligatorio. Non fosse altro perché diventerebbe un appiglio in più per la burocrazia (e non certo perché sarebbe poco utile o contrario all’uso della bicicletta come qualcuno, criminalmente, continua ad affermare).
Però facciamo soprattutto in modo che tutte queste iniziative, oltre a educare i ciclisti, vadano anche a parlare agli automobilisti che sono i primi, con la loro indisciplina, a causare incidenti ai ciclisti. Perché quando si legge una notizia di un’incidente, la stragrande maggioranza delle volte è a scapito di un ciclista che procedeva da solo senza commettere alcuna infrazione. E sono questi i dati che devono far riflettere e smuovere le teste e provocare azioni di educazione.
Educazione che è bene insegnare ai più piccoli, così come si propone anche la Cycling Sport Promotion di Mario Minervino, che proprio in questi giorni ha presentato il suo progetto “Pedala, Pedala… in Sicurezza!” dedicato alle scuole del varesotto dove si svolge tradizionalmente il Trofeo Binda. Ci sta tutta anche una tirata d’orecchie ai più grandi, sollecitandoli alla prudenza e al rispetto delle regole. Ma non perdiamo di vista quale debba essere l’obiettivo principale delle campagne di sicurezza dei ciclisti: farli pedalare su strade sicure in cui sia rispettato il Codice della Strada. Da tutti.
Ci vuole così tanto?
Guido P. Rubino