L’occasione per noi è stata la Geogravel Tuscany, dove, assieme a Shimano, 3T era sponsor di questa bella manifestazione ideata dal “Grillo” Paolo Bettini: il costruttore lombardo ci ha dato l’occasione di testare il meglio del suo segmento gravel, quella Racemax Italia che assieme ad altri modelli in gamma condivide il suffisso messo lì per ricordarci la produzione esclusiva fatta entro i nostri confini.
Monoscocca sui generis
È ovviamente un telaio in carbonio il Racemax Italia; ed è ancora un telaio monoscocca come lo sono la maggior parte dei telai al top che oggi si trovano sul mercato mondiale.
Ma rispetto a questi ultimi 3T ci tiene a sottolineare il procedimento di costruzione proprietario, appunto rigorosamente Made in Italy: e se è così è non solo per una ragione “romantica”, ma soprattutto tecnica, legata ad un controllo completo di un processo costruttivo esclusivo.
Si aggiungono poi ragioni organizzative (tempi di consegna più brevi) e perché no commerciali (tutela della tecnologia proprietaria), aspetti che in ogni caso sono secondi ai vantaggi tecnici di un processo costruttivo che ora vi spieghiamo, e di cui abbiamo potuto apprezzare su strada (anzi, sul fuoristrada) le grandi qualità.
Nei dettagli tecnici scende Marco Carena, da anni responsabile tecnico di 3T, marchio che dal 2015 ha iniziato a produrre telai e che è stato tra i primi a “fiutare” il fenomeno del gravel lanciando nel 2016 l’Exploro, un telaio che a modo suo ha rappresentato un benchmark della disciplina: «I nostri telai con la sigla Italia non utilizzano la sovrapposizione dei fogli di carbonio come avviene per la stragrande maggioranza dei telai di produzione orientale, ma partono letteralmente dal filo di carbonio che viene avvolto su un mandrino per formare il telaio. Solo in un secondo momento viene aggiunta la resina» – ci spiega Carena, che ha pedalato con noi alla Geogravel Tuscany.
In pratica, diversamente dal processo più usuale, i monoscocca “Italia ” di 3T partono dall’avvolgimento del filamento di carbonio “secco” (ovvero non preimpregnato di resine) su di un nucleo che rappresenta il corrispettivo della matrice se si considera lo standard di costruzione abituale, dove c’è la stratificazione manuale di carbonio/resina epossidica preimpregnata e molto lavoro manuale nella finitura.
Il tubo come fosse un tessuto![telai 3tEN-4-768x768 – Cyclinside.it](https://cyclinside.it/wp-content/uploads/2024/06/telai-3tEN-4-768x768-1.jpg)
3T è sincero: «Copiare questo processo in Italia sarebbe stato facile, ma non molto sostenibile». Ed è per questo che anni fa ha preferito individuare il processo produttivo migliore per un telaio in carbonio fatto “a casa nostra”: dopo una lunga revisione di tutte le tecnologie di produzione la risposta è stata appunto quella dell’avvolgimento automatizzato del filamento al posto del layup manuale di carbonio preimpregnato.
In questo modo, modificando la velocità dell’avvolgitore, è possibile modificare l’angolo del filo sul nucleo ed avere di conseguenza tutte le possibili inclinazioni dell’intreccio della fibra, ottenendo diverse caratteristiche meccaniche. Questo almeno a livello teorico.
Sì, perché dietro questa semplice teoria si nasconde un’enorme complessità.
Ad esempio, poiché la fibra è “secca”, ovvero non ancora appiccicosa con la resina, la stessa non rimane molto facilmente avviluppata sul nucleo. Inoltre questo avvolgimento si adatta difficilmente agli angoli molto “acuti”: per fare un esempio, pensate ad avvolgere una corda attorno a un bastoncino: è facile avvolgerla, ma che disposizione andrà ad assumere sugli angoli del bastoncino stesso?
Questo per dire che il team di sviluppo di 3T ha dedicato enormi sforzi alla progettazione e alla costruzione delle macchine per l’avvolgimento di filamenti, che non a caso la Casa lombarda preferisce non mostrare nei dettagli, per evidenti ragioni di riservatezza industriale.
Un processo senza limitazioni
Il risultato pratico, però, è che oggi per 3T non ci sono più limitazioni per quanto riguarda gli angoli delle fibre: si possono creare quasi tutti i layup con una combinazione di posizionamento e taglio speciali delle fibre.
Con l’utilizzo della fibra secca 3T riesce oggi a creare parti più complesse, integrando diversi tipi di fibre e aggiungendo rinforzi dove questi servono. Questo garantisce anche una perfetta corrispondenza tra le diverse preforme che compongono il telaio di una bicicletta.
Dal 2019 3T ha dunque avviato la sua produzione dal filamento secco in Italia, nel suo stabilimento di Presezzo (BG): in quel momento la decisione logica è stata quella di iniziare dal livello più alto della gamma (quello che all’epoca era il livello LTD e che oggi è stato ribattezzato “Italia”), mantenendo comunque in oriente una linea di produzione di telai di fascia più bassa, realizzata tutta con il classico layup e caratterizzata da volumi di richiesta maggiori rispetto ai più esclusivi telai “Italia”.
Altre implicazioni positive
Ma i vantaggi di realizzare un tubo di carbonio partendo dal singolo filamento sono anche altri: con il carbonio prepreg serve posizionare il telaio preformato in uno stampo freddo per evitare che la resina inizi a reagire con la matrice non appena vi entra in contatto.
Per questo occorre riscaldare lo stampo, polimerizzare la resina e poi raffreddare lo stampo. Dopo tutto questo si può poi passare al processo successivo.
Questo ciclo di riscaldamento e raffreddamento richiede tempo, energia ed è anche costoso, sia in termini di consumo energetico che dei tempi.
Diversamente, quando si usa la fibra secca la si può incollare in uno stampo caldo senza controindicazioni: a quel punto si chiude lo stampo e si inietta la resina, che solo in quel momento inizia il processo di indurimento. È così possibile produrre telaio dopo telaio senza dover raffreddare e riscaldare nuovamente lo stampo.
Anche una guarnitura “fatta in casa”
![telai 3t3T_torno_03-featured-1600x1179 – Cyclinside.it](https://cyclinside.it/wp-content/uploads/2024/06/telai-3t3T_torno_03-featured-1600x1179-1.jpg)