Mentre i corridori del Tour de France sono a gambe in su, per recuperare la fatica immane di queste tre settimane, noi tiriamo una riga e facciamo un bilancio, assolutamente personale, su cosa ci è piaciuto e cosa non ci è piaciuto della corsa francese edizione 2023. Se volete dite pure la vostra nei commenti o sui social. Ma ricordate che si tratta sempre di una corsa in biciceltta.
Cosa ci è piaciuto
- Il Tour de France, tutto intero. È la corsa più bella, più cercata, più apprezzata e voluta. E si vede. Il riconoscimento è urbi et orbi a cominciare dal pubblico per finire con le copertine dei giornali di tutto il mondo. Italia esclusa, ovviamente.
- Jonas Vingegaard: come si fa a dire che non piace uno così. Che soffre, si stacca pure un po’ ma poi è lì, inesorabile e, quest’anno, è sembrato anche più forte dell’anno passato. Il mondo si inchina e lui mette a tacere tutti i sospetti ribaltando le posizioni: “fate bene a dubitare, non smettete mai” ha detto, sicuro della sua posizione. D’altra parte, meticoloso com’è nel programmare tutto, avrà previsto pure questa risposta. Ma soprattutto una preparazione davvero mostruosa e non dite che fa solo il Tour. Perché non è vero.
- Tadej Pogacar: uno così dove lo metti fa spettacolo, che siano classiche o corse a tappe. Come fai a non volergli bene? E visto che è pure arrivato secondo vincendo l’ultima tappa di montagna con la grinta, gliene si vuole ancora di più. Praticamente perfetto anche nella sconfitta che, nel dubbio, prende con una risata e ringraziando pure.
- Giulio Ciccone. Una spedizione italiana ai minimi storici torna a casa con una maglia prestigiosa. Bravissimo Ciccone a calcolare e scattare nel momento giusto. Che volete di più? Una vittoria di tappa.
- I fratelli Yates. Difficile vedere due fratelli andare entrambi così forti. Stessi geni ma espressioni diverse troppe volte. Spesso solo questione di testa. Ma loro sono gemelli e non hanno scuse. E allora vanno forte entrambi.
- Mark Cavendish. Ce lo siamo quasi dimenticato per quella caduta disgraziata che gli ha tolto la possibilità di fare il record assoluto di vittorie al Tour de France. Roba da sopravanzare pure Eddy Merckx, che resterebbe comunque avanti per lo spessore, ovviamente. Ma davvero va specificato che Cavendish è “solo” un velocista?
Intanto lui se la ride dall’alto della sua carriera. Una volta se la sarebbe presa molto di più. E chissà che l’anno prossimo non ci riprovi. - Wout van Aert. Lui attacca, anche se appare senza senso. E forse non c’è davvero, ma intanto va. Ha gambe che potrebbero sostenere mezzo gruppo, ci prova da solo, da cavallo pazzo ma poi, quando serve, c’è pure per la squadra e anche in maniera determinante. Impossibile da criticare uno così, solo da ammirare.
- Thibaut Pinot. Un corridore romantico che mancherà. Uno che si fa travolgere dalle emozioni e chissà come si sarà vissuto quell’ultima tappa di montagna immerso nella marea del suo pubblico che si apriva al suo passaggio. È uno che pedala più di nervi che di testa, più moderno che mai.
- Urska Zigart, la fidanzata di Pogacar. Se è davvero merito suo che il compagno è rimasto in corsa, dopo la prima crisi, grazie dello spettacolo che ci ha garantito. Un Tour de France 2023 senza Pogacar a Parigi sarebbe stato decisamente monco.
- L’arrivo di Parigi. Continueremo a mettere questa voce ogni anno, perché la scenografia dei Campi Elisi è qualcosa di unico che rende merito agli organizzatori e ai francesi tutti. Concedeteci un po’ di campanilismo: il Giro d’Italia ha già dimostrato che potrebbe fare di più. Basta volerlo.
- Menzione speciale che ci fa andare fuori scala va ai gregari. Anche in questo Tour abbiamo visto il sacrificio totale di gente come Kuss, ma soprattutto un gesto simbolico e totale come quello di Marc Soler che ha accompagnato Pogacar in crisi crisi e gli ha messo la mano sulle spalle nel momento più difficile. Applauso d’obbligo a lui e a tutti i gregari che hanno lavorato o anche solo faticato in silenzio, lontano dai primi posti della classifica e dalle telecamere.
Cosa non ci è piaciuto
- Giulio Ciccone che si è lamentato per i punteggi della maglia a pois troppo premianti per chi vince le tappe. Ti aspettiamo davanti, Cicco!
- L’organizzazione che fa acqua da troppe parti. “E allora organizzatelo voi”, ci potrebbero dire. Ma no, un’organizzazione esperta e potente come quella del Tour non ha rivali, proprio per questo è un peccato che si perda in alcuni frangenti fondamentali. Troppa gente oltre le transenne, sempre troppi veicoli in corsa e spesso nei punti decisivi. Normale che a un certo punto possa succedere un patatrac come quelle due moto, incastrate nel pubblico, a fermare uno scatto di Pogacar che in quel momento appariva decisivo.
- I sospetti. Se nessuno stravince si parla di corsa noiosa, se c’è uno fortissimo si sospetta a prescindere. Vingegaard ha numero strabilianti e tenere gli occhi aperti è d’obbligo – lo ha detto anche lui – ma adombrare un trionfo perché troppo spettacolare è veramente da suicidio ciclistico. Abbiamo già dato.
- I campioni opachi. Specifichiamo subito: non è una critica. Come fai a criticare un corridore che non ce la fa? Ma pensate che meraviglia con gente come Sagan, Alaphilippe e Van der Poel anche solo all’80 per cento di come li abbiamo conosciuti. Spettacolo. Ma va bene così, sarebbe ingordigia altrimenti, no?
- Wout van Aert che se ne va. Certo che a uno così gli concedi tutto e si fa pure perdonare. Ma avete visto come è tornato a tirare dopo che pensava di aver esaurito il suo compito? A quanti professionisti avremmo perdonato lo scappare a casa così, pure per un motivo così importante?
- Poche cronometro. Il percorso è da promuovere, ma castrare completamente i corridori forti nelle cronometro classiche è un peccato. Non avrebbero cambiato la classifica, avrebbero premiato Campenaerts e Van Aert probabilmente. Così la corsa è stata sbilanciata troppo verso gli scalatori.
- Jasper Philipsen. È stato, senza dubbio, il velocista più forte di questo Tour de France e al Mondiale sarà uno dei favoriti. Ha dimostrato, in tutte le occasioni, di essere uno in grado di vincere qualsiasi volata, da solo o tirato da Van der Poel. Lo sarebbe stato anche senza rischiare di spalmare sulle transenne gli avversari.
- Gli italiani. Dobbiamo fare autocritica: solo sette al via è un record negativo anche assoluto. Le edizioni in cui sono partiti di meno era per la maggiore importanza che si dava al Giro d’Italia. Era per una scelta, criticabile quanto volete, ma non, come quest’anno, per inadeguatezza e mancanza di squadre (non necessariamente in quest’ordine). Bisogna crescere in fretta, ma è ovviamente un discorso molto più ampio.
- Certe telecronache che a volte si dimenticano della corsa, a volte partono per la tangente dimenticandosi il racconto. E ci fermiamo qui.
Il paese di Coppi è Bartali è ai minimi storici al contrario di tutti gli altri paesi che sono cresciuti ben più dipoi
Perché Manca autocritica e un doveroso approfondimento. Sono nazionalista noni appassionato più di tanto per gli altro corridori.. Se abbiamo un Trentin un Guerra fanno i servi nelle squadre straniere!