2 giu 2019 – Chissà quante volte se lo sarà detto mentre pedalava, ultimo corridore della cronometro, a inseguire la sua corsa. Hai vinto il Giro Richard, ce l’hai fatta.
A certe cose non ci credi finché qualcuno non te lo dice come affermazione. Lo aveva già vinto ieri, anche l’altro ieri Ormai chi poteva batterlo?
Ma continuava a pulsargli nella testa il pensiero, gli ultimi chilometri erano suoi, il distacco ormai contenuto. Nibali ha recuperato ma nel previsto, ancora lontanissimo per poterlo preoccupare minimamente. Roglic ormai sprofondato nella sua terza settimana. Pure a salvare il podio sull’ennesimo gregariato di Landa.
Gli hanno indicato l’ingresso nell’Arena di Verona e ha storto quasi la bocca: ormai ho vinto fatemi riposare. Una smorfia di fatica sotto le arcate millenarie. Al buio un attimo prima della luce.
E quella dell’Arena di Verona è una luce forte, abbagliante di bandiere di una concentrazione di ecquadoriani che forse non si è mai vista in Italia. Oggi erano tutti lì oggi, ad applaudire Richard Carapaz, primo ecuadoriano a indossare la Maglia Rosa, primo Ecuadoriano a portarsela via.
Il boato che lo aspettava in quello stadio lo ha riportato alla realtà: ha vinto davvero.
Glielo hanno urlato con un boato, una cosa così, nel ciclismo, capita solo al velodromo di Roubai, quando arrivano i primi.
Nibali dietro, Roglic lì, a guardarsi e a pensare che forse, invece di guardarsi, dovevano andare dietro a questo corridore piccolino che era già arrivato quarto l’anno scorso e se la ride per quel regalo inaspettato.
Vi ricordate cos’aveva detto quando si è trovato in Maglia Rosa e gli è stato chiesto come avrebbe fatto a tenerla?
“È più facile difenderla, questa maglia, che conquistarla”
Se poi ti trovi con un bonus di un paio di minuti perché i tuoi avversari si fanno la guerra tra loro, è anche più facile.
L’ha vinta così, di furbizia e merito, lasciando a Nibali l’amaro di un chissà. Roglic sarebbe evidentemente calato lo stesso: la sua stagione è stata troppo sbilanciata sull’inizio, quasi logico che non tenesse fino alla fine. Facile a dirsi ora, ma lo sloveno di aveva sperato davvero.
Quindi andiamo a casa, con una classifica ancora calda a rivedere gli appunti di questi ventuno giorni di freddo e uno solo di caldo assoluto ed estivo: quello di Verona, come il tifo degli Ecuadoriani.
Guido P. Rubino