Caro Alfiero,
ti ricordi la tua bicicletta? Era gialla mi pare. Acciaio e tubi sottili che oggi ti sembrerebbero strane quelle su cui mi vedi pedalare.
Però sono tornato su quella bicicletta, la mia di allora non c’è più, trasformata e ammodernata negli anni. È diventata qualcosa di diverso e ora ho recuperato con una simile, come la tua, o quasi. Mi insegnavi a usare il cambio in salita per non perdere tempo e poi te la ridevi: “il ragazzino sta a impara’ ”. Sguardo bonario e sorriso da zio.
Strade d’asfalto.
Sono tornato a pedalare su quella bicicletta come la tua, col gruppo Super Record, quello speciale con le piastrine d’oro che quell’altro socio del velo club aveva portato una volta a far vedere, nuovo e luccicante, a momenti nemmeno avevo capito cos’avesse di tanto speciale.
Ero pronto a prendere la pioggia, ti ricordi che mi dava così fastidio? Ora ho imparato a pedalarci sotto e “sgonfia un po’ le gomme”. E alla fine mi ci sono pure esaltato. Ma poi è andata bene, che fortuna, o forse hai aperto tu l’ombrello?
Pedalavamo in un tintinnare di acciaio quando la catena sbatteva sul telaio. Qui, all’Eroica, sulle strade bianche, era un continuo. Difficile pure pedalare su queste salite e discese. “Aumenta un dente”, “cala un dente…” quando si perdeva il ritmo giusto per salita, discesa e fatica arrivavi tu, da dietro, perché in gruppo ti mettevi sempre dietro, a volte ti perdevi un po’.
Di salite e discese ne ho ritrovate parecchie all’Eroica. Forse avresti borbottato per le strade ma poi no, ti saresti goduto il panorama.
L’Eroica si chiama così perché si deve fare con le bici vecchie, ma non solo quelle che usavamo noi, prima dell’87, ce ne sono di vecchie davvero, ora la chiamano vintage, ma qualcuno osa con certi “cancelli” che poi ti credo che restano a piedi a metà strada. Alcune non frenavano neppure da nuove, figurati oggi.
Sai, Alfiero, qui nel senese ho ritrovato il pedalare tranquillo delle nostre uscite. Quando il numero sulla schiena si metteva solo per vezzo e per identificarci che stavamo facendo tutti la stessa cosa. Nulla di più. Si pedalava per piacere e per gusto di stare insieme a condividere la strada e magari la buona tavola delle nostre parti. Che anche qui mica si scherza sai, vedessi che ristori. Roba da resuscitare i… vabe’, scusa, era per dire. Mi è capitato di pensarti, mentre pedalavo. Ora mi sono trovato io ad insegnare a ciclisti inesperti ma con quegli occhi di passione e curiosità dentro. Si fanno perdonare anche errori per cui sorrideresti. Pensa, c’era una che cambiava sempre con la stessa mano, sia che dovesse muovere il deragliatore o il cambio. Un altro litigava con i pedali che non riusciva ad infilarli come si deve, be’ sullo sterrato un po’ lo capisco, mica era facile. Con quei rapporti poi.
Ricordi quando mi dicevi di montare il 26 che “quella salita è tosta” e io sorridevo imbarazzato perché avevo il 23 e mica tanti soldi per una ruota libera nuova. Il 26 non l’ho mai avuto, e quando ho messo per davvero il numero sulla schiena il 21 bastava e avanzava. Mai pensato alla tripla, oggi c’è anche la compact, che è un modo per non sfigurare troppo con rapporti più leggeri. E dietro si arriva anche a più del 30. Sapessi che scelta poi. Parleresti di diavolerie “che tanto se ci hai le gambe…”
E qualcuno qui le gambe le ha davvero. Sai, c’è un percorso da 200 e più chilometri fatto di parecchi sterrati mica sempre facili e lo fanno con bici che tu diresti “ma ‘ndo vanno…” e invece loro vanno davvero, a costo di arrivare al traguardo (che si chiama “traguardo”, come il ciclismo che mi raccontavi tu, mica “arrivo”, come oggi) con faccia e gambe stravolte ma il cuore contento come un bimbo a Natale.
Caro Alfiero ti saluto, sarà per l’anno prossimo. O forse prima. Ti ritroverò ancora a ruota.
Tra il pubblico, a guardarci tutti, quest’anno non c’era una persona e ti confesso che il suo sorriso mi è un po’ mancato col vin santo la sera prima della partenza. Si chiamava “lafede” tutt’attaccato come dicono qui, magari la convinci tu che pedalando si vince bene la pigrizia.
Che poi non si pedala mai da soli qui. Una signora dopo che l’ho superata mi ha detto “oh, ora siamo proprio gli ultimi”, ma no che ce n’erano altri mille dietro.
Già, chi sarà mai l’ultimo all’Eroica. Forse non esiste un ultimo all’Eroica, non c’è mai stato. C’è solo l’attesa qui. Che finisce sempre con la voglia di ricominciare.