9 mag 2016 – Avvicinarsi al Giro d’Italia dal punto di vista della comunicazione è un’invasione di aggettivi. Ci si trova di fronte dapprima alla grande presentazione, poi alla grande partenza. Mentre si pedala si parla di grande evento.
Tutta questa smania di sottolineare l’aggettivo “grande” a momenti rischia di far pensare male, e non serve lo psicologo.
Chi sa di ciclismo, infatti, sa che il Giro d’Italia è qualcosa di grande senza che nessuno glielo debba dire. Chi non sa di ciclismo e ha qualche anno, lo sa lo stesso. Perché il Giro d’Italia è sempre stato un evento. Soprattutto se una volta gli è passato sotto casa. Ed è probabile.
Qualcuno più giovane che non sa di ciclismo e mastica poco di cultura sportiva italiana sì, potrebbe essere il target (quelli del marketing lo chiamano così) giusto.
Il Giro d’Italia ha già in sé l’aggettivo “grande”. È il Giro, che diamine! Quello con la G maiuscola e non è il giro di casa. Ce l’hanno dimostrato proprio lontano casa: il pubblico dell’Olanda è stato rapito dall’idea di vedere il Giro d’Italia, come lo era stato il pubblico irlandese due anni fa. Un tributo di folla che da noi appartiene ad altri tempi. Diamogliene atto.
Ci sta che la comunicazione calchi la mano sull’imponenza dell’evento. La comunicazione serve a vendere al meglio un prodotto, a dargli un’identità.
Quando, su Cyclinside, abbiamo iniziato a far vedere qualche fotografia dal Giro più di qualcuno ci ha scritto: ma come, dall’Olanda?
Sì, proprio l’Olanda.
Che il motivo sia economico non è uno scandalo. La macchina del Giro costa e, ancora di più: se a un’azienda propongono un ottimo affare perché non seguirlo?
Il problema, caso mai, si chiama “identità”.
Qual è l’identità del Giro d’Italia? Ha bisogno che questa identità venga costruita a tavolino e magari sia figlia di un grafico dove ci sono i potenziali clienti, i costi, quanto i clienti sono disposti a spendere per un prodotto, la loro età e così via?
L’identità data dal marketing è un biglietto da visita sottile. Ha una bella grafica abituata a vestire anche chi sotto ha poco. Il Giro d’Italia sotto ha lo spessore della storia e dell’avventura dei campioni. La cultura di un’Italia che si è evoluta e unita attorno al ciclismo e grazie ad esso. L’Italia unita da Garibaldi e dal Garibaldi del Giro. In fondo, a ben guardare, fare il marketing del Giro potrebbe essere facile: c’è già tutto.
Basterebbe anche guardare cosa fanno i cugini francesi con il Tour, riconosciuto come la corsa più importante del mondo proprio per le sue radici forti che vengono mantenute e rispettate. Cose come l’arrivo sempre nella stessa città, alcuni luoghi simbolo da far vedere ogni anno in cui il “cliente finale” si ritrova e magari sogna un giorno di andare a vedere.
Poi occorre l’abilità di far vedere moderne delle immagini che alcuni si ostinano a volere impolverate. E invece sono proprio i giovani che vanno a ricercare il gusto di quel tempo che fu. E non ci sarebbe stata necessità di cambiare il colore delle maglie (o addirittura il nome di alcune corse – anch’esse già forti di una loro identità definita e ora dissolte nel dimenticatoio).
Ma chi studia marketing, viene da chiederci, la studia la storia?
Guido P. Rubino