L’ultima volta risaliva al 2019, tempi prepandemici. L’ultima volta erano un sacco di iscritti, e anche la mattina dell’8 maggio, alla Felice Gimondi erano in tanti, quasi 3.500. Beh, non male, segno che la granfondo ha lasciato un segno nei gusti dei ciclisti: vuoi per l’organizzazione, vuoi per i percorsi, la manifestazione orobica è parte del Grande Slam italiano del ciclismo amatoriale.
In questa 24esima edizione c’ho trovato un sacco di cose belle.
Di bello c’ho trovato l’emozione di prendere le spille e attaccare il pettorale. È un rito, una procedura speciale, una sequenza di gesti che avremo fatto mille volte, e che tutte le volte sembra un po’ la prima.
Di bello c’ho trovato la griglia piena, fin troppo. A un quarto d’ora dalla partenza ho fatto la coda per entrare: non ci stava più uno spillo. Quando si dice sold out.
Di bello c’ho trovato che, il primo scarto per terra di un gel usato, l’ho visto a metà della salita del Colle Gallo. Era il chilometro 28, me lo ricordo bene. Diciamolo: lasciare le strade pulite da cartacce di barrette, integratori, cellophane di varia natura ci fa onore. Noi ciclisti stiamo diventando più eco-responsabili. Bravi.
Di bello c’ho trovato, ma mica tanto, un quantitativo enorme di partecipanti con bici elettrica, ma non evidenti mountain bike con motore o s-pedelec superdotate, no, vere e proprie bici da strada cavalcate da signori di mezza età che mi superavano al doppia della velocità. Ma sì, c’è spazio per tutti, e in fondo a me non hanno dato fastidio. Solo una fottuta invidia.
Di bello c’ho trovato, anzi ritrovato, il sorriso dei volontari ai ristori: sembravano più contenti loro di stare alla Granfondo Felice Gimondi di chi scrive.
Di bello c’ho trovato la pioggia. Sì proprio così. La pioggia. Eddai ragazzi, quando sei un ciclista acquisti tutto il pacchetto completo, maltempo compreso. Gioie e dolori. A parte la prudenza in discesa che in fondo tutti quanti il lunedì dobbiamo andare a lavorare, il bello della pioggia è avere la nuova giacca Roubaix di Santini: impermeabile, traspirante, antivento.
Di bello c’ho trovato che ho fatto una fatica maiala sul Gallo, una sgobbata bestia sul Selvino ma in Val Taleggio credo di avere fatto il mio personal best degli ultimi dieci anni. Diventare vecchio e resistente ha i suoi vantaggi.
C’è anche chi non si è preso tanto sul serio, e si è fatto la Gimondi con la Graziella. E questo l’ho trovato bello, come quelli che si sono scattati un selfie sull’ultimo tornante del Selvino, intitolato a Felice.
Di bello c’ho trovato le strade chiuse al traffico, ça va sans dire. C’è stato un momento a un paio di chilometri dall’arrivo che una moto della scorta tecnica si è messa davanti a noi e con bandierina al vento annunciava la nostra entrata in città. Ero davanti a tirare come fossi il primo del trenino di Petacchi. La moto rallenta e accosta. Nel dubbio mi giro e, non c’era più nessuno. Ero solo.
Ultimo, ma non certo per importanza, di bello c’ho trovato che anche se arrivi 805esimo, non se ne accorge nessuno.
10 mag 2022 – Riproduzione riservata – Cyclinside