Meccanicamente parlando il discorso potrebbe sembrare semplice: maggiore è la lunghezza della pedivella, maggiore è il braccio di leva, quindi maggiore è la forza che la gamba riesce a sviluppare in un punto specifico dei 360 gradi che il piede compie per terminare una pedalata.
>>> La lunghezza delle pedivelle
Possiamo quindi dire che leve – ovvero pedivelle – lunghe, saranno da preferire a quelle più corte? No, perché sempre in termini rigidamente meccanici, più lunga è la leva chiamata a movimentare la gamba, più ampio sarà il ciclo di rivoluzione che questa dovrà compiere, con la conseguenza che aumenta il lavoro complessivo necessario per completare la circonferenza che descrive un’intera pedalata. Entra insomma in campo un fattore fondamentale: la velocità cui sono chiamate a muoversi le gambe, e più specificamente i piedi. Quel che accade durante la dinamica della pedalata è che la pressione determinata dalla spinta delle gambe sui pedali produce una coppia di forze – ovvero un lavoro –, mentre la reale potenza espressa è data dalla coppia in questione moltiplicata per la cadenza di pedalata.
Di conseguenza, un incremento della potenza trasmessa alla ruota potrà essere connesso con l’allungamento della pedivella soltanto se la cadenza di pedalata con la nuova leva si manterrà identica a quella sviluppata con il braccio più corto.
Fin qui la pura meccanica che in realtà in termini biomeccanici obbliga a considerare anche la maggiore velocità di rotazione cui è chiamato a rispondere un atleta che utilizza leve più lunghe.
Viceversa, è meccanicamente e fisiologicamente innegabile che un braccio di leva più corto sviluppi un ciclo di rivoluzione più piccolo, quindi minore velocità richiesta al ciclista e di conseguenza facilita l’esecuzione dei cicli di pedalata.
Potrebbe bastare questo per giustificare l’impiego di pedivelle sempre più corte che si ravvisa oggi nel ciclismo professionistico?
No, di questo è convinto Marco Pinotti, ex corridore e oggi preparatore del team Jayco Alula.
In questo video l’ex professionista italiano approfondisce proprio sulla tendenza dei pro rider odierni ad utilizzare leve corte, e farlo soprattutto in discipline – la cronometro prima di tutte – dove fino qualche anno fa la tendenza era opposta, era appunto quella di adottare leve lunghe.
Affrontare il tema “lunghezza della pedivella” impone di considerare non solo la pura meccanica, ma obbliga a considerare tutta la tematica relativa alla sostenibilità articolare e muscolare di una leva che a livello di efficienza potrebbe sembrare ottimale, ma che nella realtà dei fatti così non è.
Accade questo quando appunto si applica asetticamente una formula di calcolo senza capire e vedere che tipo di atleta c’è davanti; o ancora, può succedere questo quando il tecnico indica una misura di pedivella semplicemente sulla base della analisi approssimativa del soggetto filmato mentre pedala su un ciclotrainer con dei marker fissati sui punti di repere. Nella fattispecie della lunghezza di pedivella, indicazioni di lunghezza errate (soprattutto in eccesso più che in difetto) possono avere un ruolo diretto nel contribuire ad innescare lesioni da sovraccarico e problematiche articolari. Non per caso un biomeccanico competente ed esperto effettua per prima cosa una accurata anamnesi dell’atleta che sta andando a valutare, per comporre il migliore dei quadri di riferimento su cui poi andare a costruire il test.
«Quel che accade – ci spiega Pinotti – è che sia da un punto di vista sia biomeccanico che aerodinamico una pedivella più corta determina angoli di lavoro più favorevoli tra torso e anca, di conseguenza produce anche una migliore respirazione. Non ci sono evidenze scientifiche e studi chiari che dimostrino che, entro certi range, la pedivella lunga favorisca la performance».
Direttamente collegato a questo tema c’è anche l’adozione di moltipliche sempre più corte – o se preferite “agili” – che si fa spazio tra i professionisti odierni: «Anche queste – dice Pinotti – sono un ulteriore elemento alla base di leve sempre più corte da parte dei corridori»
Quel che è certo, ci ha detto Pinotti al termine dell’intervista video, è che a livello meccanico variazioni del braccio di leva nell’ordine di pochi millimetri (come sono appunto quelle che si sono fatte strada oggi rispetto a qualche anno fa, hanno un incidenza sulla performance poco significativa rispetto invece a ciò che può produrre una modifica nella posizione e di conseguenza negli angoli di lavoro di una posizione in sella.