Tubazioni lineari, forme che tornano tonde, geometria con classico doppio “triangolo”, collarino stringi reggisella e cavi a vista sul manubrio: fermi là, sgombrate la vostra testa dall’idea che la bici che vedete – che noi di Cyclinside abbiamo testato in anteprima – sia un passo indietro. La cosa peggiore, quando si valuta un nuovo modello, è fermarsi al primo, immediato, impatto estetico.
Ma intanto ecco 10 domande e 1o risposte veloci che spiegano la nuova bicicletta:
Per capire bene questa nuova Specialized Æthos bisogna non solo spiegarla tecnicamente, ma a nostro avviso serve anche fare un ripasso di quel che l’industria della moderna bicicletta da corsa ha fatto nell’ultimo lustro. Appunto, se guardiamo indietro negli ultimi cinque anni ci accorgiamo di una ricerca sempre maggiore verso due parametri che, sia a livello tecnico, sia funzionale, hanno molte cose in comune: l’adesione a forme sempre più aerodinamiche e l’utilizzo di soluzioni integrate.
Questo binomio è diventato ancora più stretto e solido se pensiamo che, oltre alle ragioni funzionali, aerodinamica e integrazione producono anche un terzo, significativo vantaggio che ha inciso non poco nella genesi della moderna bicicletta da corsa: avere mezzi esteticamente accattivanti, con un look aggressivo e di impatto, non può non catturare l’attenzione dei corridori e soprattutto di quei tantissimi praticanti che i corridori provano a emularli proprio comperando le bici con cui i loro beniamini gareggiano.
Ultimo, ma non ultimo, argomento che ha sostenuto questo trend è poi la politica dell’Uci, il “governo mondiale” della bicicletta da corsa, che da anni impone il limite di peso minimo per le bici dei corridori a 6.8 chili e in questo senso stabilisce un freno a quella ricerca estrema della leggerezza che in effetti ha avuto una battuta di arresto rispetto a qualche decade fa, quando l’obiettivo che inseguivano a tutti i costi i costruttori era proprio la bici “piuma”, con una leggerezza record.
In fondo, è anche per questo che negli ultimi anni, almeno per quel che riguarda il segmento delle bici da corsa destinate alle competizioni, ci siamo abituati a vedere modelli sempre più belli, con un’integrazione sempre maggiore tra telaio e componenti, telai sempre più rigidi e sempre più filanti, ma in fondo telai sempre più simili gli uni con gli altri…
Potremmo chiamarlo il mainstream della moderna produzione telaistica, cui per primi si sono adeguati i grandi marchi della produzione mondiale, quelli che fanno i grandi numeri e che equipaggiano i professionisti.
Una bicicletta di rottura
Tra questi grandi marchi c’è anche Specialized, ci mancherebbe, che è proprio quella che ha realizzato la bicicletta “di rottura” di cui stiamo parlando. Di rottura, sì, perché senza misconoscere quel che fino a ieri il marchio californiano ha fatto, propone un’interpretazione decisamente diversa della bicicletta da cosa.
In greco antico Æthos può essere tradotto con “carattere”, “spirito”, ma in modo più estensivo e profondo può essere reso con “teoria di vivere”, “modo di vedere le cose”. Sì, perché la Æthos scompagina proprio quei canoni e quella filosofia costruttiva cui i grandi produttori, Specialized compreso, si sono adeguati negli ultimi anni: mettendo da parte l’integrazione più esasperata, mettendo da parte l’aerodinamica e mettendo da parte quel modello funzionale/estetico di cui abbiamo parlato, mettendo da parte tutto questo la Æthos rimette al centro della scena il corridore, anzi, più che il corridore rimette al centro il praticante e la sua esperienza di riding.
Sì, perché una bici di questo genere è in grado di adattarsi a un pubblico potenziale sicuramente più ampio rispetto a quello, specialistico e superevoluto, cui invece possono adattarsi quei modelli super integrati cui facevamo riferimento poco fa.
Tutto meno che un passo indietro
La Æthos è un dietrofront rispetto alla Tarmac SL7 che Specialized ha presentato giusto due mesi fa e che Cyclinside ha testato qui?
Affatto, rispetto alla “SL7” la Æthos è semplicemente un’altra cosa, è un modello che liberandosi da tante nozioni preconcette sulla costruzione della moderna bicicletta da corsa arriva a proporre una soluzione nuova, in grado di adattarsi alle tante persone “normali” che la bicicletta da asfalto la vogliono – e con questa la possono vivere – come strumento per godersi al massimo la loro esperienza di riding, godersi la maneggevolezza, la versatilità e soprattutto la leggerezza, mettendo decisamente in secondo piano quelle prestazioni aerodinamiche che possono garantire loro le soluzioni – per i più inadatte – delle bici destinate agli agonisti di altissimo livello.
Tradotto in forma
Tradotto in pratica, o meglio tradotto in forma, questo ethos si concretizza in una bici minimalistica, essenziale, oseremmo dire una bici tradizionale nelle sue tubazioni che tornano ad essere tonde, con diametri esterni sostanzialmente costanti e con soluzioni tecniche che negli anni scorsi si erano perse di vista: il carro posteriore abbandona il volume supercompatto, il reggisella ritrova una sezione tonda e, udite udite, il fissaggio di quest’ultimo utilizza il classico collarino.
E ancora, i cavi trasmissione e freno non sono più tutti integrati nel telaio ma sono in parte alla vista, l’attacco manubrio ha forme e sezioni tradizionali e le ruote sono meno “appariscenti”, nel senso che nell’allestimento di serie il set preferisce un profilo del cerchio contenuto, di quelli che si usavano qualche anno fa e che sono certamente più maneggevoli.
Più semplice, più leggera
Le forme essenzialmente tonde di tutte le tubazioni (al massimo c’è qualche tendenza all’ovalizzazione) significano abbandonare tutte quelle spigolosità, tutti quegli angoli più o meno acuti che nella moderna interpretazione “aero” della bicicletta da corsa significano riduzione delle resistenze aerodinamiche ma significano anche peso in più, significano porzioni e strati di materiale che stanno lì solo per dare sostegno a una forma, non tanto per definire le essenziali caratteristiche di guida di quel prodotto. Tradotto sulla bilancia questo ha portato il telaio Ethos al peso da record di 585 grammi (taglia 56 cm con finitura Jet Fuel), perché del resto grammi in meno sono anche quelli ottenuti evitando le tante soluzioni tecniche che permettono di instradare tutti i cablaggi internamente, sia internamente al telaio, sia internamente ai componenti di guida.
Dunque il progetto della nuova Æthos è partito deliberatamente dall’imperativo di ignorare tutti questi concetti, appunto per rimettere al centro l’esperienza del corridore, anzi del ciclista; per farlo ha preso un foglio bianco e ha riscritto una storia e una forma che, guarda caso, è in fondo simile al modello di bicicletta da corsa che si usavano dieci, quindici anni fa.
Pesi e misure
Misura | Peso in grammi* |
49 cm | 550 |
52 cm | 565 |
54 cm | 575 |
56 cm | 585 |
58 cm | 623 |
61 cm | 643 |
*Peso relativo alle colorazioni Satin Carbon/Jetfuel. Per le altre colorazioni aggiungere circa 25 grammi
Forme classiche, tecnologie moderne
Le forme della Æthos sono simili ai telai di qualche anno fa, è vero, ma i materiali e le tecnologie sono tutte moderne, sono le migliori di cui è oggi capace il produttore in questione.
Prima di tutto il telaio è proposto solo in versione “disc” e a livello strutturale è declinato con il miglior livello qualitativo di casa Specialized, il famoso S-Works che nella fattispecie della produzione road adotta il procedimento di costruzione proprietario denominato Fact12r.
Non solo: prima di arrivare alla versione definitiva che è stata appena introdotta sul mercato, gli ingegneri Specialized hanno effettuato oltre centomila simulazioni computazionali per definire la soluzione che dal punto di vista delle forme, degli spessori interni e della distribuzione di questi ultimi sulle varie tubazioni, fosse la migliore da un punto di vista del compromesso tra leggerezza peso e caratteristiche di rigidità complessiva. A proposito di rigidità: volendo quantificare quest’ultima nel suo rapporto con la leggerezza, a detta di Specialized il nuovo Æthos produce il risultato migliore, come documenta questo grafico
Aggiungiamo che alle linee esterne omogenee e lineari, si accoppiano spessori interni i tutti differenti, profili conici delle tubazioni esaminate nel loro interno e spessori che, si assottigliano fino all’altezza minima di soli 2 millimetri (questo ovviamente solo nelle porzioni di telaio dove tale assottigliamento era possibile).
Come risparmiare grammi preziosi
Oltre alle forme e ai materiali usati, è anche grazie a piccoli importanti dettagli che il telaio (e i suoi accessori) lavorano assieme per limare al massimo il peso. Prima di tutto la forcella: gli steli visibilmente snelli e sottili sono uno dei motivi alla base di un peso complessivo di soli 300 grammi. Gli steli sono minimali anche nella zona prossima alle punte, ma lo fanno senza sacrificare la robustezza, sia nel fodero di destra che nel più delicato elemento di sinistra, dove si innesta la pinza freno. Qui il carbonio impiega una lavorazione particolare: come impongono gli standard dei telai stradistici l’innesto della pinza è flat mount, ma diversamente da telai omologhi (ad esempio quello della Tarmac SL7), il foro inferiore del supporto pinza è spostato più in alto, ed è dedicato ad uno specifico supporto pinza solo per rotori da 160 mm (che a tutti gli effetti rappresentano lo standard più utilizzato sui freni anteriori dei telai stradistici). Questo ha consentito ai progettisti di realizzare una robusta struttura in composito solido – ovvero “pieno” – in corrispondenza della punta dello stelo, evitando le schiume che invece si trovano su steli dalle fogge più generose. In termini di peso il risultato di tutto questo è stato un risparmio di circa 10 g di materiale dal forcellino, ai quali si aggiungono i 2 grammi in meno di un supporto freno più corto.
Sempre per rimanere in zona dei drop out, sia anteriori che posteriori i perni passanti si adeguano al dimensionamento classico di 12×142 millimetri e 12×100 millimetri su anteriore e posteriore, ma un lavoro di a alleggerimento sui perni ha permesso di risparmiare 7 grammi a perno rispetto allo stesso accessorio impiegato sulla “SL7”. Ancora, sul forcellino destro il supporto cambio in alluminio ha fattezze minimali, si monta dalla faccia interna e anche questo permette di risparmiare una manicata di grammi rispetto all’elemento omologo della SL7. Spostandoci sulla zona sterzo, alloggiato all’interno del cannotto forcella c’è un nuovissimo expander superleggero, che ha permesso di eliminare altri grammi. Tutto questo senza dimenticare che altri grammi risparmiati sono quelli concessi dal sistema di bloccaggio del reggisella con il classico collarino che agisce su una superficie tonda, che di conseguenza lascia da parte gli expander interni che, seppure esteticamente accattivanti e aerodinamici, agiscono sulle fogge sicuramente più ingombranti – e di conseguenza pesanti – dei telai “aero”.
Specificamente realizzato per il telaio Æthos è infine il nuovo, leggerissimo reggisella Alpinist, con sezione tonda da 27.2 mm e struttura in carbonio Fact: ha un morsetto di fissaggio a due viti e arretramento (unico disponibile) di 125 mm. È proposto nella doppia estensione di 300 o 360 mm.
La geometria? Uguale alla Tarmac
La Æthos è proposta in sei taglie (49-52-54-56-58-61 cm), tutte quante ispirate a quella filosofia costruttiva Rider First che mira ad assicurare ad ognuna di esse le medesime caratteristiche di guidabilità e le stesse qualità meccaniche a prescindere dall’utilizzatore che vi si siede sopra, e tutte quante con una impostazione dimensionali e angolare identiche a quella, collaudata ed apprezzata, che Specialized utilizza da anni suo cavallo di battaglia Tarmac.
Due montaggi, anche singolo frame-set
La Æthos è proposta in due allestimenti di serie: oltre a quello con lo Shimano Dura-Ace Di2 che abbiamo testato noi è disponibile anche la versione Sram Red Etap AXS. In entrambi i casi le ruote di serie non potevano che essere le Alpinist, ossia le superleggere di Casa Roval, che in questa versione al top chiamata CLX fermano l’ago a 1284 grammi per la coppia “nuda” e si pongono come uno dei set più leggeri sul mercato.
Il prezzo della versione eTap è 11299 euro, quello della Dura-Ace 11099 euro.
Comprare il singolo frame-set? Si, per 4499 euro si può acquistare il kit che include telaio, forcella e reggisella e che consente al cliente di personalizzare questa superleggera come preferisce (ma sempre con gruppi trasmissione elettronici, non meccanici).Tre le finiture disponibili: la sgargiante Gloss Snake Eye Chameleon/Monocoat Black, la già seriosa Satin Carbon/Jet Fuel e infine la Satin Carbon/Red Gold Chameleon/Bronze Foil che corrisponde alla versione che abbiamo provato noi.
A proposito di personalizzazione: il telaio ha anche un supporto deragliatore removibile, che consente di configurare la bici in modalità di trasmissione “1X”, con corona singola.
Anche un’esclusiva “Founders Edition”
Sarà una costante in occasione del lancio di ogni nuovo modello da parte della Specialized: assieme alle versioni di serie, la Æthos esordisce sul mercato anche con una esclusiva, e in edizione limitata, Founders Edition: adotta una verniciatura esclusiva, ancor più leggera della Jet Fuel che è la finitura più leggera delle versioni di serie e monta componenti che riescono a risparmiare ulteriori grammi grazie a minuteria alleggerita della trasmissione Shimano Dura-Ace Di2 e che soprattutto impiega l’esclusivo e superleggero manubrio integrato Alpinist, tutto in carbonio, quindi diverso dal “attacco in alluminio + curva in carbonio che allestisce le versioni di serie. Gli scorrimenti del movimento della Founders Edition, infine, sono della Ceramic Speed. La Founders Edition sarà disponibile in edizione limitata in soli 300 esemplari.
In prova: le nostre impressioni
Non è la prima volta che testo una bici “piuma”: in un passato più o meno recente mi era già capitato di salire su modelli dal peso prossimo ai sei chili. In tutti quei casi il grosso limite era sempre stato avere prestazioni ovviamente eccellenti quanto più la pendenza della salita aumentava, ma limiti proporzionalmente crescenti con il crescere delle velocità, prima di tutto nelle discese, dove la leggerezza estrema produceva uno scadimento della rigidità complessiva, che a sua volta significava oggettivi limiti nella stabilità e soggettive problematiche nel livello di sicurezza percepito.
Anche questo è il motivo per cui, non lo nascondo, prima di muoverci le prime pedalate, con la Æthos ero partito un po’ prevenuto; o almeno questo era il mio pensiero quando, una volta tiratala fuori dalla scatola, ho avuto modo di pesare la “mia” Æthos montata Dura-Ace in taglia 54 centimetri priva di pedali (ma comprensiva di borraccia vuota e portabborraccia): 6.1 chili! Ti viene immediato pensare a come si possa spingere al limite un mezzo così estremo, un mezzo che sollevi tranquillamente con due dita…. A proposito di dita: proprio queste hanno subito fugato qualche dubbio: con tanta leggerezza la prima cosa che ti viene in mente è fare il classico test tattile, per capire quanto e dove quei tubi di carbonio effettivamente affondano se vai a premerli perpendicolarmente con il pollice. È un test empirico, ci mancherebbe, che a livello di efficienza su strada non serve a nulla; ma intanto è qualcosa che ti dà un’indicazione su quel che andrai a pedalare; e inoltre è un “test” che su tante biciclette con forme aero di moderna generazione, molte volte ti da il risultato che la tubazione cede verticalmente in seguito alla tua pressione… Nulla di questo su tutte le tubazioni della Æthos, ed è il primo, evidente segno di quanto il design essenzialmente tondeggiante possa aiutare, anche in questo senso.
Ma passiamo alle più concrete impressioni “pedalate”. Prima di tutto una considerazione essenziale sulla geometria: dimensioni ed angoli della Æthos ethos sono identici a quelli della Tarmac SL7, è vero, e identica a questa era anche la misura che ho testato per entrambi i modelli: una 54 cm, perfetta per i miei 173 cm di statura. Questo ovviamente non può significare che le sensazioni percepite in marcia siano identiche, perché nelle caratteristiche generali che ha una bicicletta incidono anche – e soprattutto – variabili diverse come le caratteristiche meccaniche delle parti, il tipo di ruote montate e l’impatto aerodinamico del mezzo nel suo insieme. È fuori discussione, però, che a parità di geometria le caratteristiche di guida del mezzo, il modo in cui affronti le curve e le discese siano davvero simili; in effetti abbiamo ritrovato tutta la bontà di una soluzione geometrica collaudata, da tempo apprezzata dai corridori di mezzo mondo.
Passiamo ora all’aerodinamica, ovvero il requisito che su un mezzo come questo dovrebbe essere il punto dolente. Sì, è vero, nel documento informativo tecnico che la accompagna la stessa Specialized glissa nel dare indicazioni sulla capacità di fendere l’aria della Æthos, perché naturalmente questo è l’ultimo dei punti di forza di questo modello: di quanto poco “amica del vento” sia questa bici te ne accorgi quando provi a sfruttare l’abbrivio dopo un rilancio di velocità oppure quando smetti di pedalare in discesa e lasci scorrere il mezzo per inerzia: in frangenti simili la Æthos ha difficoltà a mantenere a lungo le velocità, o almeno lo fa molto peggio di quel che, su quelle stesse strade e in quelle stesse situazioni, mi aveva permesso al Tarmac SL7. La “responsabilità” di tutto questo può naturalmente essere (anche) delle ruote, è ovvio, perché anche queste sono perfettamente in linea con lo spirito e la filosofia di questa bicicletta. Appunto: sia il telaio sia le ruote sono non solo estremamente leggere, ma anche estremamente agili, scattanti, ed oltre alla più scontata riduzione del peso il vantaggio della loro impostazione è anche nella capacità di fornire all’utilizzatore un mezzo maneggevole, facile da gestire, un mezzo che sicuramente richiede meno “presenza” alla guida di quella che, ad esempio, ti impone una “SL7” oppure una moderna bici appartenente al segmento aero, proprio quelle che le loro tubazioni e i loro cerchi ad alto profilo le fanno sfrecciare in velocità, ma allo stesso tempo richiedono impegno in più, quando ad esempio devi affrontare il vento laterale o più semplicemente quando nella tua uscita in bici non hai in testa solo velocità e performance, ma il tuo obiettivo è semplicemente goderti nel modo più facile e “snello” possibile quelle ore che vuoi dedicare al tuo sport. In fin dei conti l’obiettivo dei più che fanno ciclismo su strada dovrebbe essere questo, non certo quella di emulare (o scimmiottare) le prestazioni dei ciclisti professionisti comperando delle biciclette o optando per soluzioni tecniche che non fanno al caso, non fano al livello di allenamento, non fanno all’età e non fanno al livello di mobilità articolare di chi vi è sopra.
La nuova Æthos in questo senso colpisce nel segno, è bici da corsa totale, che eredita dai modello da agonismo della Specialized il meglio in termini di geometria e di concezione strutturale, ma li declina con una forma decisamente più “user-friendly”. Se poi questo sia un ritorno al classico e al passato oppure se sia un ritorno al prossimo futuro, questo in fin dei conti a chi vuole godersi una vera esperienza di riding su asfalto interessa poco.
Informazioni: www.specialized.com
Maurizio Coccia