13 lug 2018 – Se da bambini vi piaceva giocare con i Playmobil, se avete amato la loro serie medievale con le corazze e le alabarde, allora Fougères potrebbe essere la vostra città ideale. Da qui, oggi, parte la settima tappa del Tour de France.
È un campionario di architetture storiche, Fougères. Su tutte svetta il favoloso castello del XII secolo: un’autentica fortezza, con torri e mura difensive che cingono un’area di due ettari. Tanta roba, mica uno “château” qualunque. C’è anche un grande convento in città, risale al 1680 e si chiama “Couvent des Clarisses Urbanistes”. Qui potrebbe scattare il mio entusiasmo, per pura deformazione professionale. Perché non puoi non amare un convento di “suore urbaniste”, letteralmente. In realtà l’urbanistica non c’entra, perché parliamo di un ordine religioso che deve il suo nome e la sua “regola” a un vecchio Papa: l’Ordo Sanctae Clarae regulae Urbani IV.
Che noia le regole e la precisione! Soprattutto d’estate. Ci si potrebbe divertire molto di più, in questi tempi rapidi di social media e fake news, traducendo le cose a vanvera con gli strumenti automatici disponibili su internet. Chissà quante stramberie simpatiche si potrebbero scrivere sulla città di Fougères, pasticciando i testi di Victor Hugo, Honoré de Balzac e François-René de Chateaubriand: da qui ci sono passati, ci hanno soggiornato, ne hanno scritto.
È un lavoro serio quello del traduttore, perché non basta conoscere le lingue: devi anche essere uno scrittore vero. O addirittura un poeta. Lo sapeva bene Alain Suied, che in Francia, per l’editore Gallimard, ha tradotto molte delle opere di Dylan Thomas: l’ultimo grande poeta del Novecento, gallese proprio come Geraint detto “G”, che corre per la SKY e che oggi potrebbe conquistare la maglia gialla. Gli basterebbero tre secondi, un traguardo volante. Si può fare, non è roba da visionari.
Un visionario straordinario, invece, è stato proprio Dylan Thomas: quasi impossibili da trasporre, i suoi versi, in una lingua diversa dall’inglese. Ancora oggi non si riesce a trovare un accordo sul titolo francese di Fern Hill, uno dei suoi capolavori: “La colline aux fougères”, oppure “Colline de fougères”? Chissà! L’unica certezza, in questo caldo venerdì di luglio, è che – anche senza volerlo, anche parlando di poesia e del Galles – finiamo sempre per tornare lì, a Fougères, la città con le “felci” dipinte sullo stemma.
E invece bisognerebbe andarsene, partire in fretta, perché ci sono ben 231 chilometri vallonati da percorrere, lungo il confine con la Normandia, per arrivare fino al traguardo di Chartres. È la tappa più lunga di questo Tour de France.
Ma è proprio il gruppo a non aver tanta voglia di correre, oggi. La fuga non parte. Si viaggia a velocità cicloturistica. Solo dopo 35 chilometri qualcuno decide di accelerare un po’. È Yoann Offredo: saluta e se ne va in avanscoperta. Resterà da solo, col vento in faccia, per oltre 100 chilometri.
Il vento c’è per tutti e, come ieri, diventa una tentazione irresistibile: AG2R e Trek si mettono a menare in testa al gruppo. Accelerano brutalmente, creano ventagli, spaccano la corsa in tre tronconi. Non bastassero loro, arrivano anche Movistar, Quick-Step e Lotto-Soudal a tenere alta l’andatura. L’obiettivo forse è quello di “droppare” qualche velocista, ma il risultato non è all’altezza delle aspettative. Dopo un po’ i tronconi si riuniscono. L’accelerazione del gruppo finisce per consumare il vantaggio di Offredo: viene riassorbito quando mancano 90 km al traguardo e, idealmente, passa il “testimone” a Laurent Pichon, che inizia una nuova fuga solitaria.
Si torna a pedalare a velocità turistica: del resto, si va verso Chartres, dove i monumenti da visitare non mancano.
Pichon continua, poi si annoia, si chiede chi glielo faccia fare. Non trova una risposta valida e si lascia riprendere quando mancano 38 km all’arrivo.
Gruppo compatto. Si viaggia verso l’ultimo traguardo volante che regala secondi per la classifica generale. Ci proverà la SKY, per regalare la maglia gialla a Geraint Thomas? Nemmeno a parlarne. Allora ci pensa Van Avermaet: scatta e incassa altri tre secondi, consolidando (si fa per dire) il proprio primato.
Da lì in poi è ancora cicloturismo, in attesa di arrivare allo sprint finale. Le grandi manovre iniziano quando mancano duemila metri. Curve e contro-curve. Poi è quasi un unico rettilineo, con l’ultimo chilometro in leggera salita.
Partono i “treni” della FDJ e della Quick-Step, ma sono incompleti, mischiati, sovrapposti: come le frasi in una pessima traduzione. Sembra di nuovo sfida tra Peter Sagan e Fernando Gaviria, invece spunta l’olandese Dylan Groenewegen, che li fulmina. Vince lui. Tanti complimenti a Dylan, che mi sorprende dopo una tappa esasperante in cui mi aspettavo Thomas in maglia gialla.
Dylan e Thomas, come il nome e il cognome del grande poeta gallese, come un suo celebre verso che posso tradurvi bene: «Io, nella mia immagine intricata, avanzo su due piani…».
Paolo Bozzuto
(docente di urbanistica al Politecnico di Milano, autore del libro “Pro-cycling Territory“)