14 lug 2018 – È tutta colpa di Mario Mandžukić.
Ci tengo a dirlo perché in giro c’è gente scontenta dopo le ultime due tappe e, in generale, dopo questa prima settimana di Tour: secondo molti, è stata terribilmente noiosa. Non sanno, costoro, che la “noia” è la soglia spirituale che separa il vero appassionato di ciclismo da chi, semplicemente, lo segue come uno sport qualunque destinato a produrre emozioni forti, classifiche, sconfitti, vincitori ed eventualmente idoli delle folle.
Devi riconoscerla la noia, nel ciclismo, ma non subirla. Devi viverla come un Hôtel par heures. Devi abitarla come un appartamento senza mobili. Devi surfarla come un’onda anomala, assecondarla: se ti opponi, ti travolge, ti affoga.
Ma è inutile spiegare queste cose, perché la gente scontenta non vuole mai argomentazioni: vuole un “colpevole”, un capro espiatorio. È così dall’origine dei tempi, è la strada preferita dalla pessima politica di ogni colore, in ogni epoca. E se il “colpevole” è debole, tanto meglio. È capitato anche nel ciclismo, in passato.
Io, almeno, ho il piccolo merito, la parziale scusante, di additarvi un “cattivo” alto e largo come un armadio a quattro ante, roba che Cipollini sembra un po’ gracile in confronto. E con un’intera nazione alle spalle. Andate a rompergli le scatole, se vi sembra il caso.
La colpa di Mandžukić è ovviamente quella di aver segnato nei tempi supplementari contro l’Inghilterra, nella semifinale dei Mondiali di calcio. Senza quella rete, forse, sulle strade della Grand Boucle avremmo potuto vivere giorni diversi, di spasmodica attesa per una storica sfida tra i Bleus e le maglie bianche della perfida Albione. La route pour la finale. Passando per l’odierna festa nazionale francese del 14 luglio. Passando, soprattutto, per la Normandia: uno dei territori più contesi durante la Guerra dei Cent’anni, che vide contrapposte proprio Francia e Inghilterra tra il 1339 e il 1453.
È stata una faccenda piuttosto lunga e complicata, questo conflitto, basta la denominazione storiografica per capirlo. Ci sarebbero mille episodi da raccontare, mille luoghi, mille battaglie, mille castelli persi e riconquistati: roba forte. Roba che non annoia. Ma ormai è inutile: il perfido Mandžukić ha rovinato tutto. Chissà quale diabolico scherzo avrà in serbo per i francesi, domani sera. E “in serbo”, ovviamente, è un paradosso voluto.
Vernon, Les Andelys e Bézu-la-Forêt sono solo alcune delle cittadine interessate dalla Guerra dei Cent’anni che si trovano lungo il percorso della frazione odierna. Si parte da Dreux e si arriva ad Amiens: un altro piattone di 182 km, con un solo punto in palio per la maglia della Pimpa, su una salitella farlocca. Il nulla aspirato. Che è davvero sorprendente, ripensando ad altre tappe, storiche e spettacolari, corse nel giorno della “presa della Bastiglia”. Ma Amiens è la città dell’attuale Presidente della Repubblica francese e il Tour ha deciso di fare una visita di cortesia istituzionale: En marche!
In fuga vanno subito Fabien Grellier e Marco Minnaard, eroi di giornata lanciati verso l’inutile, per la gioia di sponsor e direttori sportivi. Si faranno tutta la tappa insieme, o quasi.
Dietro di loro, la corsa è quello che è, ma almeno procede con un ritmo più sostenuto rispetto a ieri, perché bisogna arrivare prima: è pur sempre un giorno di festa e la gente, anche quella scontenta, ha comunque i propri impegni sociali e familiari.
Per ribadire il concetto, quando mancano 30 km al traguardo, il Tour schiera i suoi elicotteri in formazione: ne ho contati almeno cinque, in cielo, ripresi da un sesto che fornisce le immagini alla regia televisiva. È uno spettacolo strepitoso, ma inquietante: istintivamente, ti aspetti che dagli altoparlanti possa erompere la Ritt der Walküren di Richard Wagner, come in “Apocalypse Now”. E, per un istante infinito, ti immagini la placida campagna francese squassata dal napalm del tenente colonnello Prud-Kilgore. Il messaggio subliminale è recepito dal gruppo. Anche troppo. Infatti, dopo un po’, esplode.
Mancano 17 chilometri al traguardo quando si verifica una micidiale caduta. Diversa da quelle viste nel corso della prima settimana. Questa è una vera caduta da Tour. E credetemi: nonostante le tante e legittime lamentazioni espresse nei giorni passati, fino a qui era andata molto bene. Dannatamente bene.
Per capire una vera caduta da Tour o da “classiche”, sempre che non abbiate corso il Tour o qualche “classica”, dovete leggere due libri: “The Secret Race”, di Tyler Hamilton e Daniel Coyle (2012), e “The Racer” di David Millar (2015). Il vecchio e stiloso David arriva perfino a formulare una vera e propria Theory of Crashes: potrei riportarla qui, ma perché privarvi del piacere di leggere il suo libro? Non sia mai.
A leccarsi le ferite, lungo la strada, restano in molti. Tra i grandi nomi, ci sono Daniel Martin e Julian Alaphilippe, che al traguardo faranno segnare un ritardo di un minuto e 16 secondi sui migliori.
Siamo ormai alla fine. Anche per i due fuggitivi di giornata. Minnaard cede quando mancano solo 10 km al traguardo. Grellier resiste ancora un po’, prima di essere raggiunto dal gruppo. Si arriva a ranghi compatti, o quasi, ad Amiens.
C’è un rettilineo, quando mancano poco più di tre chilometri al traguardo. Lì, sullo sfondo, spicca la cattedrale: la grande architettura non guasta mai, nella vita.
Scappa Gilbert, che prova la più classica delle mosse da finisseur. Ma non funziona. Le grandi manovre iniziano a 1500 metri dallo striscione d’arrivo. Treni scomposti, piloti che perdono il loro velocista di riferimento. Gaviria e Greipel improvvisano un incontro di wrestling lungo le transenne. Sagan sembra poterne approfittare. Ma spunta ancora lui: Dylan Groenewegen. Li svernicia tutti e saluta chi non lo riteneva un velocista d’élite.
Domani si riparte da Arras: non molto lontano da Agincourt, dove Enrico V vinse una delle battaglie più importante della Guerra dei Cent’anni. Si arriverà a Roubaix, dopo tanti chilometri sull’infernale pavé. Sarà una tappa fondamentale, probabilmente, per l’evoluzione di questo Tour. Agli uomini di classifica serviranno pochi, ma forti e affidabili compagni.
Mario Mandžukić non corre: sarà in campo con la sua Croazia per la finale dei Mondiali di calcio.
Per tutti, comunque, varrà il celebre verso del St. Crispin’s Day speech di Shakespeare: «We band of brothers…».
Paolo Bozzuto
(docente di urbanistica al Politecnico di Milano, autore del libro “Pro-cycling Territory“)