22 lug 2018 – Continuità e discontinuità: il ciclismo vive da sempre in tensione tra queste due categorie fondamentali. Il Tour de France 2018 e la sua quindicesima tappa non fanno eccezione.
Oggi si completa la marcia di avvicinamento ai Pirenei. Poi ci si fermerà, per l’ultima giornata di riposo. Si ripartirà martedì dalla stessa località in cui si arriva oggi, senza trasferimenti: è la prima volta che accade in questa Grande Boucle. Era ora.
La continuità territoriale dei percorsi, che un tempo costituiva l’essenza delle grandi corse a tappe, negli ultimi anni è divenuta solo un’evenienza. è uno degli aspetti che mi garbano poco del ciclismo contemporaneo. Comunque la pensiate, adesso fa bene a tutti fermarsi nello stesso luogo, per un po’, per riorganizzare le idee e le forze in vista della settimana decisiva.
Non è nemmeno un luogo casuale. È strategico come pochi, nella storia, da sempre: è Carcassonne, località famosa in tutto il mondo per la sua cittadella medievale fortificata, restaurata da Eugène Viollet-le-Duc nella seconda metà dell’Ottocento.
Per arrivarci, il gruppo deve percorrere 182 chilometri, partendo da Millau, alle porte del Parco Naturale Regionale delle Grands Causses. È una tappa mossa come poche, con 3 GPM in sequenza: Côte de Luzençon (terza), Col de Sié (seconda), Pic de Nore (prima), poi una lunga discesa che porta ai dieci chilometri finali in pianura.
Continuità e discontinuità. Vale anche per noi appassionati: vorremmo qualcosa di diverso, rispetto alla frazione di ieri, ma ragionevolmente sappiamo che non l’avremo. Infatti, è ancora una giornata da “due corse” in una. La fuga da lontano arriverà. Resta solo da vedere quanti ciclisti ne faranno parte.
Servono 40 chilometri di schermaglie, per capirlo: si forma una truppa di 29 corridori, tra i quali i soliti Sagan e Van Avermaet: inesauribili, mai appagati.
C’è anche Lilian Calmejane, tra i fuggitivi. Oggi ricopre il ruolo di enfant du pays. Lo prende un po’ troppo sul serio e scappa, da solo, sulla salita del Col de Sié: è una mossa totalmente scriteriata. Dall’ammiraglia cercano di farlo desistere, gli dicono di stare tranquillo. Sarà che lo fanno in francese, forse gridando «Calme! Calme!», sarà quel che sarà, ma lui fraintende: lo prende come un incitamento e insiste. Ci mettono un po’ per ricondurlo alla ragione.
Il gruppo della maglia gialla, nel frattempo, si gode la seconda gita consecutiva: accumula distacco dalla fuga, come fosse un patrimonio da incrementare con investimenti sicuri e regolari.
Rientrato nei ranghi Calmejane, dalla fuga parte in avanscoperta Fabien Grellier. Poi lo raggiunge Julien Bernard: due francesi, al loro primo Tour, guidano la corsa per la gioia di tutti. A 54 km dal traguardo hanno 1’45’’ su ciò che resta della sortita di giornata.
Poco dopo, Rafal Majka, un altro dei fuggitivi, decide di andare a prenderli.
Daniel Martin non vuole essere da meno e scappa dal gruppo della maglia gialla. Due corse in una, due attacchi in due corse. Si rischia un proliferare di variabili tattiche.
Proliferano anche gli idioti tra il pubblico, in una frazione in cui non ci sono nemmeno gli accampamenti alcolici tipici dell’Alpe d’Huez: ancora fumogeni puntati verso il gruppo, ancora gente che corre al fianco dei corridori, in modo scomposto e pericoloso.
Su tutta questa umanità varia, svetta l’ultimo GPM di giornata: il Pic de Nore, una versione molto verde, modesta e barzotta del Mont Ventoux. Se la guardi da lontano, questa bellissima collina ti sembra un base missilistica dei tempi della “guerra fredda”. Ma è solo una stazione radiotelevisiva, con una gigantesca antenna in cemento che sembra in procinto di decollare verso lo spazio profondo.
Invece è Majka a decollare: completa il suo inseguimento, passa in testa e inizia a guidare la tappa in solitario. Un tizio del pubblico frana dal bordo strada, forse spinto da qualche altro imbecille, e si infila miracolosamente tra lui e una moto della TV francese, senza creare un disastro. È un mezzo miracolo. Si sta decisamente esagerando. Anche un fermo sostenitore della libertà di espressione, come me, inizia a innervosirsi parecchio.
Majka va come un treno, sembra essere la sua giornata, poi inizia a spegnersi. Viene ripreso da altri otto fuggitivi quando mancano 14 km al traguardo. Dietro, Daniel Martin viene riassorbito dal gruppo, che viaggia col cruise control: tredici minuti e spiccioli di ritardo. Costante.
Continuità e discontinuità: a questo punto hai disperatamente bisogno di qualcosa che ti risollevi lo spirito. E il Tour, quasi avvertendo il tuo disagio personale, te la regala. Lungo un rettilineo della pianura finale, in mezzo alla campagna, le telecamere inquadrano Didi Senft, detto “El Diablo”: il personaggio più pittoresco e amato degli ultimi decenni della Grande Boucle. Didi è solo uno del pubblico, ma è un’istituzione, con il suo costume rosso da diavolo bonario. Lui è old school come il ciclismo che piace a me: fa spettacolo, è protagonista, ma non disturba nessuno. Tutti gli vogliono bene. Didi non accenderebbe mai fumogeni a bordo strada. Lui, probabilmente, se li mangia a colazione.
Quando mancano 7 km al traguardo, dal gruppetto dei fuggitivi rimasti se ne vanno in tre: Magnus Cort Nielsen, Ion Izagirre e Bauke Mollema. Spingono. Creano una frattura definitiva. Arrivano insieme a Carcassonne.
A quel punto, per Izagirre e Mollema non ci può essere alcuna possibilità. Lo sanno bene anche loro: lo spunto veloce di Cort Nielsen non possono reggerlo. Infatti, non lo reggono.
Vince il ragazzo danese e inizia l’attesa del gruppo dei “big” di classifica. Come ieri. Molto peggio di ieri: arrivano tutti in parata, tredici minuti dopo. Sembra il finale di una tappa neutralizzata. Chris Froome e Geraint Thomas, detto “G”, chiacchierano amabilmente: potrebbe essere l’ultima volta, in questo Tour de France.
Continuità o discontinuità? Questo è il problema!
Sembra una brutta versione di Shakespeare, ma è la questione fondamentale che il team SKY dovrà affrontare nell’ultima settimana di corsa, quella decisiva.
Dal Galles, il vento e le nuvole sono già in viaggio. Portano un celebre verso dell’altro Thomas: Dylan, il grande poeta che ho già citato in occasione della settima tappa…
«Amico, da nemico io ti sfido».
Paolo Bozzuto
(docente di urbanistica al Politecnico di Milano, autore del libro “Pro-cycling Territory“)