7 lug 2018 – Se Venezia è un pesce, come sostiene Tiziano Scarpa in un libro che ho molto amato, allora l’isola di Noirmoutier, nel Golfo di Biscaglia, è un hippocampus: un cavalluccio marino. Devi osservarla con un sistema satellitare per capirlo. Una strana creatura, quest’isola, storicamente collegata alla terraferma dal suggestivo Passage du Gois: una strada in lastricato di pietre, lunga 4 chilometri, che ogni giorno emerge dalle acque e poi scompare di nuovo, seguendo il ciclo e i ritmi delle maree. La costruzione di un ponte per la mobilità su gomma, aperto nel 1971, non ha mutato la sua natura. Poche automobili, molte biciclette. E poi pesca, ostriche, patate, saline storiche e spiagge. Tante spiagge. E tanti turisti. Se esiste un luogo capace di reificare il concetto di “resilienza”, comunque lo vogliate intendere, è proprio l’isola di Noirmoutier.
Da qui inizia il racconto del Tour de France 2018, con una prima tappa in linea di 201 chilometri destinata a portare le 22 squadre e i 176 corridori partenti fino al traguardo di Fontenay-le-Comte, nel cuore della Vandea: il Dipartimento francese, istituito nel 1790, che tutti conoscono per la storica guerra civile contro la Repubblica nata dalla Rivoluzione Francese.
Tappa per velocisti, sulla carta. Chi vince la volata finale indossa automaticamente la prima maglia gialla. Quindi sarà battaglia totale tra ruote veloci.
Il gruppo lascia Noirmoutier passando sul ponte; oggi non si percorre il Passage du Gois: meglio evitare i problemi che il lastricato viscido causò durante la seconda tappa del Tour del 1999 e nella frazione inaugurale del 2011.
Si corre lungo la costa atlantica, in una terra di mezzo tra dune di sabbia spazzate dal vento (oggi gentile), porti turistici e piccoli o medi centri urbani che non eccellono dal punto di vista dell’immaginazione toponomastica. Una fila di “de-Monts” (La-Barre de-Monts, Notre-Dame-de-Monts, Saint-Jean-de-Monts), seguita da una sequenza infinita di “sur-Mer”: Bretignolle-sur-Mer, Brem-sur-Mer, Olonne-sur-Mer, Jard-sur-Mer, La Tranche-sur-Mer, Aiguillon-sur-Mer. Quasi ti esalti, quando ti imbatti in una municipalità che si chiama Saint-Gilles-Croix-de-Vie, oppure Les Sables-d’Olonne: autentici sfoggi poetici.
In fuga vanno subito tre francesi: Kevin Ledanois, Jérome Cousin e Yoann Offredo. Arrivano ad avere quattro minuti di vantaggio, ma il gruppo non ha voglia di scherzare e li riporta presto sotto i tre, dove resteranno a lungo.
Col numero 45 attaccato alla maglia, Ledanois è l’enfant du pays, dato che vive a Saint-Jean-de-Monts. Oggi è il suo debutto assoluto al Tour e non si lascia scappare l’occasione per mettersi in evidenza sulle strade di casa. Non è giornata da “visita parenti”: troppo alta la posta in gioco, per tutti, nella tappa inaugurale. Ma Ledanois non ne ha bisogno: suo padre Yvon lo segue, perché è il Direttore Sportivo del team Fortuneo-Samsic, la sua squadra. Sono ventimila leghe lungo il mare, per Kevin, implicito capitano di giornata che fila come il Nautilus in emersione. Capitano Nemo profeta in patria, si potrebbe dire: in fondo Jules Verne, il grande scrittore di fantascienza, nacque pochi chilometri più a Nord, a Nantes, esattamente 190 anni fa.
E fantascienza sarebbe immaginare di arrivare al traguardo, per i tre fuggitivi. Lo sanno bene. Lo sanno meglio di tutti. L’obiettivo massimo, per loro, è giocarsi la maillot à pois al primo GPM, di quarta categoria, di questa Grand Boucle: la Côte-de-Vix posta a 28 km dall’arrivo. Ogni maglia è importante al Tour, in ogni tappa. Quella à pois, che identifica il leader degli “scalatori”, è in assoluto la mia preferita. Mette allegria. Forse perché mi ricorda “La Pimpa”, il fumetto di Altan che leggevo da bambino. Ma non ditelo ai francesi: potrebbero restarci male.
A 70 km dal traguardo, il percorso inizia a piegare verso l’entroterra. I tre fuggitivi continuano a guidare la corsa, mentre l’americano Lawson Craddock cerca di rimanere agganciato alla coda del gruppo dopo una rovinosa caduta in cui si è fatto molto male. Sangue lungo il volto, clavicola sinistra fratturata, o qualcosa del genere, a giudicare dalle immagini. Nel ciclismo, se cadi, ti rialzi subito e riparti: basta riuscire a respirare e a far girare le gambe. Solo al traguardo ti fai visitare. È una delle regole “non scritte” di questo sport bellissimo e infernale. Al Tour ti rialzi ancora più in fretta.
Sui pedali si alza Yoann Offredo, che prova la sortita solitaria, ma “rimbalza” subito; così sulla Côte-de-Vix passa per primo il nostro Capitano Nemo di giornata: Kevin Ledanois. La maglia della Pimpa è sua. La indosserà sul podio al termine della tappa. Può anche smettere di dare l’anima. Infatti, si stacca dai due compagni di fuga, che invece proseguono nella loro missione impossibile. Durerà ancora per pochi chilometri.
Infortunio di Craddock a parte, la corsa non ha ancora avuto sussulti particolari. Procede ordinata e regolare, quasi ipnotizzata dall’infinta sequenza di “sur-Mer” disseminati lungo i due terzi del tracciato. Tutto sembra andare bene per il gruppo, rispetto a tante altre occasioni in terra di Francia. Molto bene. Troppo bene. E infatti, quando manca una decina di chilometri al traguardo, la corsa esplode.
Una prima caduta generale taglia fuori Arnaud Démare, alfiere delle ruote veloci francesi. Non potrà disputare lo sprint. Un chilometro dopo, altra caduta in gruppo, a causa di un restringimento della sede stradale. Poi è Chris Froome, il re del Tour e recente trionfatore al Giro d’Italia, a volare letteralmente fuori strada, in un prato, dopo un contatto con un altro corridore. Mancano cinque chilometri e il team SKY è costretto a improvvisare una sorta di cronometro a squadre ante litteram, per cercare di riportarlo nel drappello di testa. Non funzionerà. Infine, Nairo Quintana, altro grande favorito per la vittoria finale della Grand Boucle, si ritrova appiedato a causa di una foratura. Lasciato solo, come un cane abbandonato da una famiglia di vacanzieri distratti, finisce per accumulare un ritardo pesante.
Ci sono tre rotonde negli ultimi tre chilometri, prima del traguardo di Fontenay-le-Comte. Il gruppo le supera di slancio mentre tutti si chiedono: chi manca? Chi è rimasto indietro? Ma non c’è tempo per cercare risposte: lungo il rettilineo del Boulevard Hoche, la Quick-Step Floors schiera il suo “treno” a servizio di Fernando Gaviria, altro debuttante assoluto al Tour, ma infinitamente più noto e veloce del nostro Capitano Nemo di giornata. Sprinter di classe, cresciuto in pista (due volte campione del mondo nell’Omnium), Gaviria fulmina tutti. Vince e conquista l’ambita maglia gialla.
Dietro di lui sfila ciò che resta della corsa. Distacchi impensabili, alla partenza, per alcuni degli uomini di classifica che puntano alla vittoria finale sugli Champs Élysées di Parigi. Froome, Yates e Porte arrivano con 51 secondi di ritardo. Quintana prende più di un minuto. Nibali e Bardet si salvano: arrivano con i primi e incassano il prezioso vantaggio sui diretti rivali.
Era il debutto di questo Tour de France 2018 ed è stata la corsa dei debuttanti. Rischiava di essere la prima tappa noiosa di una sequenza di tappe noiose, invece è successo di tutto. Non si poteva chiedere di più alla Vandea. O quasi. Magari, potendo, una toponomastica più varia, ma è un dettaglio.
Domani andrà meglio.
Paolo Bozzuto
(docente di urbanistica al Politecnico di Milano, autore del libro “Pro-cycling Territory“)