18 giu 2017 – I padroni di casa sono gli Americani, quelli con le infradito e il pantaloncino corto che non li ho mai visti fare una presentazione in giacca e cravatta come spesso accade tra noi (ma neanche coi sandali e il calzino come amava Gary Klein ai tempi).
L’America di Trump accoglie con un sorriso, quello del controllo immigrazione: “Che vieni a fare qui? Un magazine online di bici? Bello, benvenuto in America”.
Ci sono i giornalisti di tutto il mondo, alcuni tirati che neanche tra i corridori prima di una gara. E sono lì che scalpitano, gli importa poco di ascoltare le chiacchiere, vorrebbero avere già le tacchette nei pedali.
Perché a certe presentazioni se ci vai allenato – e pure tanto – è meglio. A volte si provano le bici, ma in certe uscite non fai in tempo neanche a respirare. E allora poi ti vai a fare un giretto da solo per provare alcune cose che prima non eri riuscito quando eri troppo intento a trattenere il polmoni nel costato.
Ci sono diverse giornaliste stavolta ed è pure questo un segnale. Non tanto delle quote rosa nelle redazioni (la capacità, sono convinto, non ha sesso. Forse il problema è più di certi direttori), ma del fatto che ci sia un’attenzione sempre maggiore su come pedalino le donne. E il loro punto di vista diventa fondamentale. Ma queste sanno pedalare bene anche su bici “da uomo”. La belga è tostissima, molla solo alla fine. L’inglesina soffre e si fa sorprendere coi manicotti nel caldo irrespirabile del primo giorno. Le altre van forte di loro che manco avessero il numero sulla schiena.
Si pedala a ritmi diversi. Si parla di nuove soluzioni tecniche: il Future Shock fa discutere, così come aveva fatto discutere sulla Roubaix. Ma qui ci accorgiamo che è molto più “cattivo” perché su una gravel l’impegno è ancora maggiore.
Si mangia e si beve pure e se con la grigliata si va sul sicuro (con la carne, in America, è difficile capitare male) un po’ di attenzione in più occorre averla con la birra. Quella di Coney Island ha l’etichetta accattivante e il sapore di sciroppo per bambini. Meglio ripiegare su una più rassicurante Corona o sulla sempre gradevole Coors, quella che ci facevano pure una gara una volta.
Tra un pezzo di carbonio che non è più come prima e uno studio aerodinamico che sì, ha senso, perché se sei un corridore quei secondi sono un bottino prezioso e se sei un appassionato non sei insensibile al fascino di quel nero così come non possiamo ancora raccontarvi, si arriva ai marshmallow serali. Quelli dei momenti di relax di Snoopy e Woodstock davanti al fuoco, avete presente?
Se poi vi fa da guida uno come Sean, che in bici racconta e pedala da mettere in fila qualche buon ciclocrossista, imparerete pure a metterli dentro a biscotti e cioccolata.
E in questa sera che sembrava non arrivare mai (il viaggio dall’Europa è una rincorsa verso il sole, ché qui vivono sei ore dopo) pensi che sì, tanto domani si pedala e si recupera.
In questo resort disperso nel New Jersey, dove con un’ora e un po’ di macchina si arriva da New York per godersi i monti Appalachi, la sala degli sci è diventata il pozzo delle meraviglie ciclistiche. Ci sono un secchio pieno di pedali e uno scatolone colmo di barrette e gel. Gli Americani pensano a tutto e in camera ti fanno trovare già qualche snack: roba di caramelle appiccicose di zucchero, carne essiccata e frutta secca, ma anche aspirina e antidiarroico che non si sa mai come finiscano la serata o la pedalata.
La mattina è un brulicare presto di meccanici che neanche al Giro d’Italia. La scelta tra strada e gravel impone una quantità di biciclette mostruosa. Ok che la filosofia è “first come – first served” (per cui non lamentatevi se di quella bici precisa la vostra misura l’han già presa) ma è difficile restare delusi.
Altezza sella, magari qualche spessore in meno sul manubrio, pressione delle gomme e controllo del serraggio degli sganci rapidi delle ruote e via. Che poi se hai il perno passante dei dischi (ci sono anche quelli, eccome) puoi pure non toccare nulla.
In questo angolo prezioso d’America le strade sono trafficate parecchio, ma c’è un rispetto rigido dei ciclisti e altrettanto se ne pretende (sì, lo ammettiamo, siamo usciti dalla riga bianca per chiacchierare e una “sciura” di lì ne sta ancora parlando col marito al ritorno a casa). Basta abbandonare la Route 94 (la nostra via di casa quando si è troppo stanchi) e ci sono un bel po’ di strade tra i boschi con salite spesso cattive e sterrati da esplorare.
Abbiamo pedalato sul confine tra lo stato del New Jersey e quello di New York in un saliscendi continuo che ci vedi più la Buick Roadmaster di Rain Man che questa Specialized “ultra tutto” che pure vi diremo. Due borracce e niente fontanelle (o almeno il caldo che ci annebbiava ce le ha nascoste) e via così.
Che poi quando torni in albergo devi fare attenzione visto che gli americani sono così “addicted” all’aria condizionata da tenere sempre costante la temperatura all’interno dei luoghi chiusi. Roba da felpa e da colpo secco quando rientri accaldato dai quasi quaranta gradi esterni e sogni la doccia – fresca pure – ma non questo gelo istantaneo. Ecco a che servivano quelle pastiglie…
Per chi ne avesse ancora voglia c’è la sfida prima di cena: quella di ciclocross (la nuova Crux è da provare qui!) nel parco dell’albergo. Han tirato il percorso con tanto di nastro rosso a delimitare la via per una prova allegra e cronometrata di due giri. Chi fa il miglior tempo? C’è chi si concentra a pedalare e chi sul servizio idratazione ciclisti: pistole ad acqua puntate dirette dalle belle ragazze che fanno parte dello staff Specialized. Compare anche un secchio pieno di palloncini già riempiti d’acqua e finisce nell’unico modo possibile. Alla cena quasi elegante qualcuno ha i capelli troppo bagnati per quell’aria condizionata così forte.
Poi chiacchiere ancora di biciclette. Perché è vero che gli Americani fanno la pausa pranzo lunga per pedalare, ma poi lavorano anche mentre mangiano, e se gli chiedi qualche segreto in più non si fanno problemi a lasciar raffreddare la pietanza che ti senti in colpa delle domande fatte.
Toccata e fuga. Chilometri, anzi miglia, e qualche litro di sudore che è già ora di tornare a casa.
L’ultima cena al ristorante italiano dove c’è “Tony Tomato” a fare le pizze. Inutile sperare, neanche qui, un caffè espresso. Poco male, sarà in Italia tra un po’ di ore, dopo averne ridate sei in più all’orologio. Fosse così anche quello biologico. Per qualche giorno si leggerà la notte e si scriverà pure.
Intanto il truck pieno di biciclette ed espositori viaggia di nuovo verso la California, base di Specialized. Ci arriverà in quattro giorni con due autisti che si alternano alla guida mentre attraversano tutta l’America.
Per noi il viaggio verso Newark e poi Italia. Con foto da scaricare dalle macchine e tante parole da mettere in ordine nella testa.
Guido P. Rubino