Capita di parlare con genitori preoccupati che i loro figli si approccino al ciclismo a causa del problema doping.
Il doping esiste in tutti gli sport, più o meno in egual misura, perché il voler barare non fa parte della mentalità del ciclista ma fa parte dell’animo umano: dove esiste una via per rubare, qualcuno che ruba c’è. Quindi preoccuparsi del ciclismo e basta, causa la cattiva nomea che si è ricavato negli anni, è una visione piuttosto miope, e penso che chi abbia avuto trascorsi in altri sport possa essere d’accordo con me.
Esiste un problema economico nell’affrontare il doping. Si possono forse definire tre grandi categorie: alcune federazioni non hanno veramente il budget per imporre delle regole precise, e da qui abbiamo meno positività a causa di un minor numero di controlli. Dall’altra parte ci sono sport talmente ricchi che appaiono anche più protetti.
Il ciclismo è un po’ nel mezzo. C’è il budget per attuare misure antidoping serie, ma i singoli non hanno potenze economiche tali da aggirarle. Il fatto che Floyd Landis abbia cercato di hackerare il sistemone UCI significa che anche lui non era in grado di comprarsi dei silenzi. E così abbiamo un numero alto di positività, anche se non il più alto. Forse molti non lo sanno ma per esempio nel 2016 ci sono state più positività nell’atletica, che però fa meno risonanza mediatica rispetto al ciclismo.
In questo momento però proprio a causa della pressione mediatica il ciclismo sta facendo scuola per le metodologie all’antidoping.
Detto questo però, far approcciare un ragazzino/a a uno sport pensando ad una possibile carriera futura è quanto di più sbagliato si possa fare.
I giovani dovrebbero fare sport per imparare a collaborare con i compagni, a rispettare gli avversari, ad arrivare in orario, a presentarsi a tutti gli allenamenti e gare, a non mollare, a prendere coscienza di loro stessi, a saper sfruttare al meglio le proprie capacità, a non essere invidiosi, ad imparare l’importanza dell’alimentazione e del sonno, a preparare una borsa per gli allenamenti, ad applaudire l’avversario che li batte anche se è antipatico.
In tutto questo, battere uno che bara è difficilissimo, ma l’enormità della soddisfazione di averlo fatto la si potrà proprio leggere negli occhi dello sconfitto.
Stefano Boggia (http://www.daccordicicli.com/)