13 lug 2017 – Sono passati cinquant’anni dalla tragedia di Tom Simpson, il corridore inglese deceduto durante la tappa del Tour de France che portava al Mont Ventoux. Cinquant’anni di un ricordo controverso: Simpson è ricordato proprio per quella morte incredibile, assurda, causata da un mix micidiale di caldo e farmaci stimolanti che prese per andare più forte.
Forte sì, ma dopato e quindi da prendere come esempio di uno sport distorto e malato? Anche no. Simpson fu un grande corridore. Vinse il Giro delle Fiandre, la Sanremo, un mondiale, tanto per dirne alcune, e non era un brocco, doping o non doping.
E proprio su questo argomento vale la pena riportare un commento del “nostro” Marco Dotta che riassume il motivo di perché ancora oggi lo ricordiamo. E non come un personaggio negativo:
“Purtroppo il doping ha sempre sfavorito proprio i corridori migliori. E questo, contrariamente a quello che la gente crede.
Si tende a pensare, infatti, che alcuni campioni siano stati tali grazie al doping, dimenticando che mentre il doping è sempre stato un elemento a fattor comune, il talento e la fantasia non c’è mai stato un solo minuto della storia in cui siano stati un elemento a fattor comune.
Ragion per cui si dimentica, o addirittura non si sa (però si commenta e si teorizza ugualmente) che questi campioni, ma non solo Simpson e Pantani, anche tanti altri, erano già tali quando da ragazzini andavano a pane e acqua e attendevano gli altri compagni in cima alle salite più dure, oppure doppiavano in pista i colleghi d’inseguimento.
Quindi, rendere omaggio a questi campioni non significa rendere omaggio al doping, cioè a quell’elemento a fattor comune che tutti avevano, ma significa rendere omaggio a quel talento e a quella fantasia che solo loro e pochi altri possedevano (e possiedono tuttora)”.
Il video di Tom Simpson sul Ventoux al tour de France del 1967:
Redazione Cyclinside