11 gen 2021 – Nonostante l’anno funesto del Covid il ciclocross continua a registrare un aumento di interesse e vede sempre più appassionati in pista. A Lecce i numeri non sono stati grandi come quelli dell’Idroscalo di Milano, ma considerando gli avvenimenti mondiali, si possono comunque dire un successo.
Un successo però che a livello Italiano ha bisogno di un immediato adattamento da parte dell’intero movimento. In pratica, utilizziamo più o meno gli stessi percorsi di quando avevamo 30 partenti, e ci facciamo partire 70, 90 o a volte anche 120 atleti in un colpo.
Questa è una mia battaglia che porto ormai avanti da anni, e mi attirerò le solite critiche, riportate anche da nomi di prestigio del cross. Meno curve e percorsi più larghi, sul modello americano è la mia idea per cambiare radicalmente il cross italiano.
Sfrutto il Campionato Italiano di Lecce per porre un dato oggettivo che supporta la mia idea. Non lo faccio per denigrare il percorso di Lecce, ma lo prendo solamente come esempio per il movimento nazionale come manifestazione più prestigiosa, sapendo comunque che circa l’80 per cento dei percorsi italiani assomiglia a quello di questo Italiano 2021. Qui il percorso misurava 2.800 metri e contava 45 curve circa. Dico circa perché poi a seconda delle potenzialità degli atleti nelle varie categorie alcuni segmenti risultano pedalati mentre altre sono vere e proprie curve, ma per i “pro” – che hanno velocità alte a volte anche un rettilineo inclinato risulta una curva.
Percorso mondiale e italiano
Il 31 Gennaio si correrà il Mondiale in Belgio, dove il percorso è lungo più o meno come a Lecce, cioè 2.900 metri, ma presenta solamente una ventina di curve in tutto. Meno della metà.
Riporto anche il dato di Dubendorf 2020, visto che è un percorso che conosco. Circa 12 – 13 curve in tutto. Condite da rampe mega galattiche che ti tirano fuori tutta l’aria dai polmoni. Se guardate la mappa le curve sembrano molte di più, ma il percorso è talmente largo e l’angolo delle curve così aperto che si pedala sempre, tornanti a parte.
Questa mania tutta Italiana di identificare la tecnica con la curva, tralasciando molto la parte condizionale dello sforzo, che non viene quasi mai inasprito da banchi di sabbia (come avviene praticamente sempre all’estero), contropendenze serie con argini di svariati metri, dislivelli, scalinate, mi porta a un ragionamento: ma chi vince qui è poi competitivo all’estero? Perché credetemi, quando si affronta una corsa di livello nazionale in Italia e si passa poi alla Coppa del Mondo, sembra di fare un altro sport.
A Lecce ho visto una gara dove il vincitore si aggrappava a un albero per girare un tornante strettissimo. Manovra rara nel cross. Qui addirittura effettuata 2 volte al giro. Ho sentito interviste parlare di errori in curva e di lucidità di guida come se si stesse parlando di un Gran Premio automobilistico. Lecce per dire quello che si vede quasi sempre in Italia. Ma se vogliamo accogliere partenze da 120 corridori bisogna, secondo me, cambiare registro e ammodernarsi. Copiando quello che fanno gli altri forse. Oppure seguendo una nostra strada se il nostro movimento italiano lo richiede.
Ma sicuramente è ora di cambiare.
Stefano Boggia (https://www.daccordicycles.com/it/)
Sono assolutamente d’accordo, sono anni che si parla di questo ma non si fa nulla.
Capisco che spesso ci sono delle ragioni (spazi più ampi), dove è stato organizzato questo campionato Italiano non potevano fare diversamente, altrimenti diventava un percorso di 500m, ma non può essere sempre così.
Ho come la sensazione che non si voglia proprio agire diversamente, come se il movimento del ciclocross Italiano sia autoreferente, non tenendo conto di quello che gli succede attorno crea un movimento di ciclocrossisti refrattari e le scelte delle squadre lo confermano, nessun corridore Italiano si accasa all’estero (chi glielo fa fare?) meglio stare nel proprio orticello.
Ps.: Chi glielo vuole dire (una volta per tutte) ad Andrea De Luca “Il regolamento delle gare di ciclocross per i professionisti (ormai da oltre 40 anni) prevede che la durata delle gare sia di 1h più un giro”…ora è consuetudine farle durare un’ora dopo aver calcolato il tempo sui primi due giri, ma se succede che una gara dura più di 1h non c’è da stupirsi, come fa appunto ogni volta De Luca. Trovo strano che un commentatore non sia informato o che nessuno lo abbia mai informato.
Del tutto d’accordo con l’articolo. Guardando la gara di Lecce (così come sarebbe accaduto in qualunque altra località italiana) ho pensato immediatamente a quanto fosse noioso il tracciato con tutti quei zig zag in mezzo ad un prato. Non c’erano o quasi “panettoni” da scalare, fossi da cui uscire, contropendenze, ostacoli… Ammesso che un corridore italiano abbia la stessa preparazione atletica di un belga, non può certo sviluppare la sua stessa tecnica. Se si vuole che il cross italiano cresca è necessario cambiare modo di disegnare i tracciati
Da anni organizzo ciclocross a livello amatoriale e non tutti i siti permettono di sviluppare determinate lunghezze ma…. qualche curva in meno stretta si poteva organizzare in alcuni tratti erano anche abbastanza stretti……ma criticare i percorsi da casa seduti sul sofà è cosa facile per tutti:ricordiamoci che il ciclocross è tecnica di guida ,padronanza del mezzo -scelta dei componenti e non per ultima preparazione atletica .Negli ultimi anni si è cambiato tutto ,percorsi veloci….simi con lunghi rettilinei – si è vero che sono stato aggiunti tratti sabbia ma una volta complice il maltempo si correva almeno un quarto a piedi con bici a spalla la preparazione avveniva con allenamenti duri a piedi con pedali a tacchette o modifiche improvvisate e personalizzate ,oggi con pedali a sgancio rapido-cambio bici in un box e se ti succedeva la rottura facevi a piedi fino al Box. Questi erano ciclocross anni 70/80 -oggi sono quasi percorsi da gravel con medie di 16-17-Km orari .All’estero è vero ma ci sono altre TESTE che promuovono ed incentivano i ciclocrossisti.Qualcosa si sta muovendo -ripeto muovendo e i risultati li vedremo fra 4/5 anni sperando che i giovani continuano perchè fino ad Juniores arrivano in molti ma poi…….Grazie dell’attenzione !!!!
“ma criticare i percorsi da casa seduti sul sofà è cosa facile”…alla mia età (58 anni), da ciclista oramai solo della domenica e da ex ciclista/ciclocrossista degli anni 80 (Vagneur, Di Tano, A. Saronni) posso solo fare questo.
Senza polemizzare, ma con una conoscenza minima per poter dire la mia, sostengo che, ora è più semplice fare il ciclocross…l’assistenza delle squadre è migliore, le bici sono più leggere e guidabili, ecc., ecc.,.
Se si vuole che il ciclocross faccia il salto di qualità, deve essere diverso da quello che è adesso (noioso).
Per fare il salto si deve andare in Tv e farlo piacere a quelli che stanno sul divano come me. Visibilità vuol dire sponsor, sponsor vuol dire denaro, denaro che si riversa nel mondo del ciclismo.
Ecco perchè ritengo che il salto di qualità deve essere nell’avere una “visione” mentale da parte di tutti, ciclisti che a 18 anni sono già professionisti e si accontentano di battere l’amico del paese vicino, per le squadre stessa cosa, su questo dobbiamo ammettere che siamo rimasti un pò “provinciali”.
Per gli organizzatori, la federazione dovrebbe fare un marchio di qualità (solo determinate gare ne entrano a far parte) con dei requisiti minimi e partecipare alle spese organizzative, queste gare devono essere a pagamento così da pretendere una visione migliore (più telecamere, commentatori più esperti).
Chiediamoci perchè la MTB a tutto questo successo, basta copiare e aggiungo che, ora che sta andando di moda la “gravel” (parente stretto del ciclocross) si dovrebbe approffittarne (costruttori più sensibili e gente più esperta e curiosa.
Insomma, tante cose potrebbero essere fatte con una “visione”, sono anni che se ne parla e la scusa è sempre la stessa (denaro, burocrazia, ecc. ecc.) ma se invece di fare due gare, con due luoghi diversi, con due organizzazioni e doppia burocrazia e costi, se ne fa una sola mettendosi assieme???….puntando appunto sulla qualità e non sulla quantità, ma quà si torna al problema sopra descritto (provinciali).
“Ai posteri l’ardua sentenza”.