8 feb 2018 – Alcuni mi hanno chiesto cosa ne pensassi del Mondiale di ciclocross di Valkenbourg. Ho notato che più di un appassionato è rimasto un po’ deluso dal percorso, altri sono rimasti delusi dalla prestazione degli Italiani. Alcuni semplicemente si domandano se è giusto correre su un percorso quasi impraticabile.
Io penso che bisogna distinguere nettamente due categorie: l’amatore che si compra la bici, affronta delle spese e si paga l’iscrizione, ha tutto il diritto di lamentarsi per un percorso brutto e di scegliere dove partecipare. L’agonista, supportato direttamente o indirettamente dagli sponsor o dalla propria nazionale, non ha questo diritto. Per lui deve esistere solamente un percorso da interpretare al meglio per raggiungere un determinato risultato. Il bello o il brutto non esiste. Forse può esistere il meno adatto, il passaggio ostico, l’interpretazione non all’altezza. Ma il percorso è quello, non è criticabile.
In quest’ottica si può fare tutto un ragionamento sulla preparazione alla gara. Percorsi “impossibili” come quello di Valkenburg non sono una novità. La prova di Coppa del Mondo di Igorre, nei Paesi Baschi, molto spesso si è corsa fra fiumi di fango. Io stesso ho corso alla prova di Hoogerheide, in Olanda, sotto una bella pioggia battente, dove chi riusciva ad affrontare il percorso in bici andava praticamente alla stessa velocità di chi era a piedi con la bici a spalla. E se vogliamo dare un occhio al passato, alcuni anni fa – non troppi, non stiamo parlando di un’epoca in bianco e nero, ma di metà anni 90 – le gare di ciclocross avevano molti più tratti da fare a piedi, complici anche i rapporti durissimi delle bici – la mia aveva un 42×23 come rapporto massimo, bastava un falso piano con un terreno più pastoso per costringermi a caricare a spalla la bici.
È chiaro che percorsi come quello visto al Mondiale sono un vantaggio per Belgi e Olandesi, abituati ad avere il fango fino ai mozzi. Ma è anche chiaro che un percorso del genere può capitare, e bisogna essere pronti a interpretarlo al meglio. Io invece in Italia vedo ciclocrossisti che addirittura non si allenano a correre a piedi, così quando si trovano ad affrontare una gara del genere sono fortemente penalizzati. La situazione di guida nel fango non è facile da trovare in gara, ma si potrebbe facilmente ricreare in allenamento. I percorsi delle gare spesso da noi sembrano delle piste per quanto sono lisce, e questo non aiuta gli atleti a migliorare. In definitiva invece di pensare se un percorso è bello o brutto, bisognerebbe pensare a come avvicinarcisi, a simularlo.
Questa mentalità tutta Italiana della ricerca del bel percorso porta ad avere un calendario gare di un livello tecnico piuttosto basso. Mi domando quindi se invece di pensare a un percorso bello non sarebbe più conveniente cercare qualche difficoltà in più – bello o brutto che sia – sui tracciati di gara Italiani, in modo da arrivare più pronti davanti ad una gara difficile come quella di Valkenbourg.
Stefano Boggia