30 lug 2018 – È stato bello questo Tour de France? Sì, perché ha vinto un campione. Ma è vero pure che quando mai una grande corsa a tappe non l’ha vinta un campione o comunque qualcuno più che meritevole?
Thomas è andato fortissimo e anche contro ogni sua aspettativa: non era mai durato così tanto in forma in una corsa a tappe, alla fine, oltre alla felicità per l’impresa, sembrava incredulo anche lui per avercela fatta. Froome che aveva alla portata la doppietta Giro – Tour e soprattutto il quinto Tour de France si è inchinato e ha fatto i complimenti al compagno di squadra che ha risolto sulla strada il dubbio su chi fosse capitano nel Team Sky.
Ma è stato un bel Tour de France?
Non tanto a dire il vero.
È stato certamente un Tour che ha fatto parlare di sé, ma anche – troppo – in negativo e c’è qualcosa da rivedere, di questo ne siamo certi noi, come tutti quelli che han visto la corsa. Siamo sicuri che ne sono convinti anche gli organizzatori. Ci sono parecchie cose da rivedere e recuperare perché il Tour possa rimanere la corsa a tappe più importante del mondo. Perché il primato della corsa a tappe più bella ora come ora, è proprio del Giro d’Italia.
Non bastano i campioni
Il Tour de France ha dalla sua un elenco di partenti sempre invidiabile. Un’attrattiva di immagine ed economica che vede sempre il meglio del mondo alla partenza. Corridori che poi si selezionano naturalmente e per disgrazie. Ecco, questa è cosa normale ma anche il problema di questo Tour che ha visto tanti protagonisti sparire anonimamente (per cadute: Porte, o per scarso stato di forma: velocisti come Greipel e Kittel, solo per citarne due), ma anche corridori sparire per problemi dovuti all’organizzazione: la caduta di Nibali urla più che mai e non lo diciamo solo da italiani. La caduta del siciliano è stata una perdita per tutto il movimento e per il Tour de France in particolare. Proprio all’Alpe d’Huez Nibali aveva dimostrato il suo stato di forma: quel recupero dopo la caduta la dice lunga su come sarebbero andate le cose nel prosieguo del Tour. E forse chissà… non vogliamo nemmeno dirlo.
L’organizzazione
L’episodio di Nibali è stato la punta di un problema enorme. Al Tour c’è un problema di organizzazione di cui occorre tenere conto. Tantissima gente? Anche, ma forse neanche questa la causa principale se, come spesso hanno testimoniato i giornalisti presenti alla corsa francese (e visto pure personalmente in qualche tappa) non è che ci fossero poi così tante persone rispetto ad altre edizioni riuscite decisamente meglio. È il Tour e si sa che è un evento pazzesco e ricercatissimo, ma qualcosa ha fatto cilecca. Nella pure attenta organizzazione del Tour qualche falla di troppo ha rovinato a tratti lo spettacolo. Forse più che ai patentini per stare in gruppo bisognerebbe guardare all’esperienza di chi ha in mano i mezzi all’interno della corsa e di chi gestisce il pubblico nei punti cruciali.
Addio velocisti
Le grandi corse a tappe diventano sempre più difficili per i velocisti. La ricerca dello spettacolo anche nelle prime tappe ha portato a modificare il percorso con frazioni ricche di difficoltà altimetriche anche nella prima settimana. Un’idea per vincere la noia che ha affaticato i velocisti e li ha portati a soffrire parecchio per giocarsi le volate. Col risultato di vederne tanti fuori tempo massimo alle prime salite importanti. È anche questo il motivo per cui non ci sono più i treni delle volate come alcune squadre erano in grado di organizzare una volta. Si punta più su corridori versatili che, all’occorrenza, fanno il treno per quello favorito in volata.
Meglio o peggio così è difficile dirlo, anche perché questa soluzione non ha portato, comunque, a ridurre le fasi interlocutorie di molte tappe. Da una parte, c’è poco da fare: non si può pretendere che i corridori vadano sempre a tutta. Dall’altra, abbiamo visto come le dinamiche di gara troppe volte sembrino prestampate e da ripetere in troppe tappe: fuga che parte presto, chiusura del gruppo a una decina di chilometri dal traguardo e poi volata di chi è rimasto. Combattività poca e noia tanta.
Una volta il Tour si correva più alla garibaldina. Si diceva perché era proprio la grandezza della corsa ad attirare la visibilità dei corridori che volevano mettersi in mostra. E prima di veder partire la fuga buona c’era da sudare un bel po’. Dicono sia il ciclismo moderno, ma qui non dipende nemmeno dai misuratori di potenza che forse limitano davvero la fantasia dei corridori.
E se si vuole inventare qualcosa possono andare bene le tappe corte che diventano essere una difficoltà in più per i corridori (proprio perché si traducono in “fiammate” difficili da controllare), ma non cose ridicole come una griglia di partenza da Formula 1. Ecco, il ciclismo non è Formula 1 e chi non ne afferra la differenza vuol dire che non ha capito niente. Se vuoi inventarti qualcosa per fare una corsa diversa, isolando i capitani dai gregari, devi pensare qualcos’altro. Ammesso che si riesca a rimanere nei limite dei regolamenti internazionali.
Problema Sky?
Il ciclismo contemporaneo sta vivendo una fase di passaggio. Al Tour de France più che mai, ma anche altrove. Una squadra come la Sky svetta su tutte le altre economicamente, prende nel suo organico i corridori più forti e chiude la corsa a tutti gli altri. Se gli avversari principali dei suoi capitani sono pagati per fargli da gregari che corsa ci possiamo aspettare? Per fortuna la situazione non è proprio così, non completamente almeno. Peccato che i corridori che poi vanno via dalla Sky non siano così fortunati da impensierire davvero il team inglese per tanti motivi. Discorso lungo e che riprenderemo pure. Ma intanto anche questo Tour de France si è svolto con molti elementi della Sky nelle prime posizioni nelle tappe più dure. Difficile aspettarsi grande battaglia da parte degli altri che pure guardano al loro piazzamento che ha un valore nel ciclismo moderno.
Ma non possiamo neanche farne una colpa alla squadra inglese. Hanno alzato il livello, chi è pronto ad andargli dietro?
Ma il problema Sky quest’anno è stato un altro: la questione Froome ha portato scompiglio nell’ambiente e i tifosi francesi contro il vincitore dell’anno scorso e la sua squadra. Al punto che alla fine hanno ottenuto il risultato opposto perché uno come Froome ha dimostrato di saper incassare e rilanciare. E le simpatie se l’è conquistate sulla strada anche se qualche imbecille non ha resistito a rovinare una bella immagine del ciclismo, sport in cui si tifa sempre a favore o al massimo si sta zitti, non si tifa mai contro.
Abbiamo visto lanciare di tutto contro i corridori in gara. Addirittura le uova contro l’ammiraglia. Brutto, bruttissimo. Un’esaltazione che è sfogata anche in altro. Che è diventata altro.
Problema sicurezza
Inutile girarci intorno, il problema di questo Tour del France 2018 è stato proprio la sicurezza dei corridori. Nelle salita più importante, ma anche in altri tratti del percorso si sono visti troppo spesso personaggi che non sono tifosi di ciclismo. Perché il tifoso di ciclismo, dopo aver aspettato per ore, al passaggio del gruppo guarda i corridori, non la telecamera per farsi vedere bene. Il tifoso di ciclismo sa come incitare i corridori senza disturbarli, e troppi di quelli che erano sulle strade francesi erano imbecilli e delinquenti. Da chi accendeva i fumogeni a chi allungava le mani per toccare i corridori o addirittura cercava di scattarsi un “selfie” volante erano tutti pericolosi per i ciclisti. Col risultato che qualcuno ci è andato pure di mezzo, a cominciare da Vincenzo Nibali atterrato da una cinghia di macchina fotografica in una situazione tanto sfortunata quanto prevedibile se l’organizzazione non si attrezza per contenere gli esagitati. Compresi quelli che toccano i corridori caduti: per Nibali poteva finire davvero male e non solo questo Tour.
Ah, la Gendarmerie!
Nella macchina organizzativa del Tour c’è qualcosa da rivedere, lo abbiamo scritto. A tanta complessità non possono sfuggire evidenti problemi di professionalità. Perché un incidente è un caso, due è sfortuna, ma dal terzo in su c’è un problema serio. E quel che ha fatto la Gendarmerie in questa edizione del Tour è stato qualcosa di incredibile. Affianco a tanto lavoro ben fatto ci sono stati troppi scivoloni. Il più grave? L’incidente coi fumogeni, davvero inammissibile, quello più di tutti. Poi, il poliziotto che ha abbattuto Froome che tornava al suo bus (ma i cicloamatori vengono trattati così?) e le moto che spesso erano in difficoltà in mezzo alla corsa. Insomma, bravi ragazzi, ma un po’ di calma.
Cadute
I corridori in questo Tour de France hanno avuto già problemi da soli, poi. Tante le cadute, tantissime. Al Tour de France si dice che sia normale e i provvedimenti per evitarle non sembrano avere effetti più di tanto. Tanti anni fa vietarono le prolunghe aerodinamiche nelle prove in linea, focalizzando su quelle la colpa delle cadute. Ora siamo arrivati a ridurre i corridori per squadra e per l’anno prossimo c’è già chi propone di ridurre il numero delle squadre sacrificando ancora di più i team continental. No, non sembra proprio questa la strada. E forse non è neanche colpa delle stesse strade pensate per il traffico automobilistico normale e quindi piene di rotonde e spartitraffico che certo complicano la vita ai corridori. In alcuni casi potrebbe aiutare la tecnologia: troppe volte (e non solo al Tour) abbiamo visto biciclette non ottimizzate per percorsi che affrontavano i corridori. Puntare sempre su aerodinamica e leggerezza non sempre paga il massimo e non è detto che il compromesso sia accettabile. Vedere le biciclette che si imbizzarriscono dà da pensare in questo senso, anche a prescindere dalle capacità fenomenali di guida dei corridori.
Concludendo
A proposito di corridori fenomenali nella guida ci resta uno splendido Peter Sagan. Il Campione del Mondo è alla sua sesta maglia verde conquistata quasi con facilità a vederlo andare così spavaldo. Eroe gagliardo e umano negli ultimi giorni, quando dopo una caduta ha fatto davvero fatica a concludere la corsa. Non ha mollato alla beffa e ha stretto i denti pedalando come ha potuto ma riuscendo a battere il tempo massimo, mica poco nelle sue condizioni. Ancora più eroe, in questo senso, l’americano Lawson Craddock, fratturato a una scapola nella prima tappa e arrivato imperterrito a Parigi. Non si sarà fatto notare ma va nominato prima di tutti.
Poi ci resta un Tour dominato dalla Sky ma neanche scontato: si pensava a Froome e ha vinto Thomas, bello e commovente pure. Secondo e terzo Dumoulin e Froome: sul podio anche al Giro, con Froome vincitore. Chi l’ha detto che non si possa fare l’accoppiata Giro e Tour? Loro hanno appena dimostrato il contrario anche se con l’abbuono di una settimana in più di distanza tra le due grandi corse a tappe per fare spazio mediatico al Mondiale di calcio. La formula paga e sarebbe da ripetere. Anche senza il “favore” fatto dal calcio. Chissà se qualcuno se ne renderà conto lì, nei piani alti, dalle parti di Ginevra (sede UCI).
Questo Tour ci lascia anche una Sky più bella. Era partita come la squadra “raccomandata” ma sarà stato proprio l’astio che ha trovato per strada a farcela diventare simpatica. Perché in bicicletta, alla fine, c’erano corridori proprio come tutti gli altri e con le stesse gambe doloranti, ma con un ostacolo in più. E da loro mai una parola negativa. Solo una considerazione del gran capo Brailsford che non diceva nemmeno una cosa troppo lontana dalla realtà, ma probabilmente la differenza maggiore è che in Francia il ciclismo è più seguito e attira personaggi che da noi restano relegati nel peggio del calcio ma che comunque, come abbiamo detto, con lo sport – qualunque esso sia, non c’entrano niente. Sono solo attirati dal riverbero di una gloria che non sarà mai cosa loro.
Inizia una nuova settimana e niente Tour. Come negli altri lunedì. Ma stavolta non è il giorno di riposo. Avremo ancora da raccontarvi qualcosa di questa corsa e fare delle considerazioni (c’è pure qualche spunto tecnico ancora da dire).
Guido P. Rubino