8 lug 2018 – La Roche-sur-Yon, capoluogo della Vandea che ospita il traguardo della seconda tappa del Tour, dovrebbe gemellarsi con Milano. Anche se molto diverse per dimensioni e numero di abitanti, le due città sono idealmente unite dalla figura di Napoleone Bonaparte: il grande generale nato in Corsica che volle farsi Imperatore dei francesi e non solo. È Napoleone a ordinare la ricostruzione della cittadina francese, distrutta dalla guerra civile in Vandea, per farne una sorta di manifesto politico in forma urbana. Accade nel maggio del 1804. Esattamente un anno dopo, Napoleone arriverà a Milano per essere incoronato Re d’Italia. Ancora oggi il cuore civico e monumentale di La Roche-sur-Yon è una piazza chiamata Place Napoléon, che giovedì scorso ha ospitato la presentazione delle squadre partecipanti al Tour de France. A Milano c’è Foro Buonaparte: cambiano le forme e le dimensioni, ma alcune valenze storiche e simboliche ricorrono. La coincidenza davvero singolare tra le due città, però, è un’altra. E non riguarda Napoleone.
Se osservi gli attuali confini comunali di La Roche-sur-Yon su una mappa, se ti concentri sul perimetro che descrivono, ti sembra di vedere proprio una piccola Milano. La somiglianza è sorprendente. È una questione di percezione. Di Gestalt. Profil à la silhouette, direbbero i francesi.
È curioso e interessante il fatto che il “contorno” di una forma, uno dei segni fondamentali per il nostro modo di percepire le figure e, quindi, il mondo, prenda il nome dal “Controllore generale delle finanze” (una sorta di Ministro del Tesoro) del re Luigi XV di Francia: Étienne de Silhouette. Mancano ancora trent’anni alla Rivoluzione francese, ancora di più all’avvento di Napoleone, quando Silhouette intraprende una politica sorprendente: vuole tassare i ricchi per rimettere in sesto le finanze della nazione. Istituisce imposte sui segni esteriori di benessere, sullo sfoggio di ricchezza: una sorta di redditometro “a vista”. Le sanzioni sono pesanti. Così il suo nome viene associato, da molti, allo svuotamento delle tasche, all’impoverimento. Questo è il motivo per cui il termine “silhouette” è usato per indicare una figura essenziale, impoverita di qualunque carattere, a cui resta solo il profilo. Ed è esattamente quel che capita alle altimetrie disegnate dai cartografi per le corse ciclistiche: sono, appunto, silhouette.
Ben poche asperità caratterizzano l’altimetria della seconda tappa del Tour de France 2018. Si parte da Mouilleron-Saint-Germain e si fa un largo giro verso Nord-Ovest, quasi fino a Cholet (dove domani si disputerà la crono-squadre). Poi si torna a Sud, verso il traguardo di La Roche-sur-Yon. Un arco territoriale, quasi un anello lungo 182 chilometri, che presenta solo un modesto GPM di quarta categoria: la Côte de Pouzauges, dopo 18 chilometri dal via. Tappa piatta per velocisti, ma è meglio non fidarsi, visti gli sconvolgimenti avvenuti ieri in una frazione ancora più facile.
Il gruppo, al terzo chilometro, lascia andare subito la fuga: Sylvain Chavanel, Michael Gog e Dion Smith. Dopo 20 chilometri hanno già tre minuti. Poi Chavanel, quasi quarantenne, uno dei più vecchi in gara, si ricorda di essere il grande corridore che è sempre stato fin da ragazzo. E il grande passista che è diventato nel corso del tempo. Saluta i due compagni di avventura e se ne va. Sarà una cavalcata solitaria di oltre 130 chilometri: “the art of the long breakaway” la chiamerebbe Jens Voigt, uno dei miei corridori preferiti del recente passato. Jens è diventato famoso, ovunque, per il motto “Shut Up Legs!”, che è anche il titolo della sua divertente autobiografia. Un incitamento a sé stesso: state zitte, gambe. Non lamentatevi!
Anche Sylvain Chavanel si sta sicuramente dicendo qualcosa del genere, mentre pedala. Sa di non avere speranze di vittoria, ma deve comunque crederci. Sta sperimentando quella dimensione introspettiva, un po’ mistica, che Alan Sillitoe descrive magistralmente in un romanzo breve del 1959, parlando di podismo: “The Loneliness of the Long-Distance Runner”.
Forse Chavanel, in testa e nelle orecchie, ha i versi di una vecchia canzone degli Iron Maiden, ispirata dal racconto di Sillitoe: «You’re over half way there / But the miles they never seem to end / As if you’re in a dream / Not getting anywhere / It seems so futile». Continua imperterrito. Conquista l’ultimo traguardo volante, posto a 14 chilometri dall’arrivo. Poi viene ripreso dal gruppo.
Iniziano le grandi manovre per la volata finale. Mosse e contromosse. Di nuovo cadute: come ieri. La più importante, decisiva, accade quando mancano due chilometri al traguardo: Fernando Gaviria, la maglia gialla, finisce a terra insieme ad altri forti velocisti. È tagliato fuori dalla contesa. A giocarsi la vittoria finale sul Boulevard d’Eylau, una delle arterie principali di La Roche-sur-Yon, arriva un drappello di 12 corridori. Tratto in discesa e curvone: siamo allo sprint. Arnaud Démare, frustrato dalla caduta di ieri, va all-in quando mancano 200 metri: si innesca come un missile balistico, anticipando tutti, ed esplode verso il traguardo. Peter Sagan, il campione del mondo in carica, lo segue. Non lo teme. Lo controlla. Lo passa. Sagan ha calcolato tutto. Tutto tranne l’italiano Sonny Colbrelli. Go Sonny Go! Ma non basta. Sagan vince e conquista la maglia gialla, cui si aggiunge la maglia verde della classifica a punti. Ed entrambe vanno a sommarsi alla maglia di campione del mondo e a quella di campione nazionale della Slovacchia. Peter Sagan è ormai un campionario di abbigliamento ambulante: abbigliamento vincente.
Domani, a Cholet, va in scena la crono-squadre. Qualunque cosa vista e scritta, fino a oggi, dovrà essere riconsiderata.
Paolo Bozzuto
(docente di urbanistica al Politecnico di Milano, autore del libro “Pro-cycling Territory“)