20 nov 2018 – Curioso il fatto che proprio la metropoli meno “ciclistica” d’Europa, la capitale europea dove solo l’1 per cento degli spostamenti quotidiani vengono fatti in bicicletta, quella dove le grandi major del bike sharing hanno dovuto arrendersi all’inciviltà di alcuni utenti che le biciclette le gettavano nel Tevere, quella che ha la minore estensione di network ciclabili rispetto alla popolazione (solo 4,2 km ogni centomila persone) e ancora quella che continua a perdere posti nella graduatoria nazionale sulla qualità di vita urbana, be’ è curioso il fatto che proprio a Roma venga organizzato da tre anni a questa parte un forum sulla Bike Economy, ossia su quanto possa essere virtuoso il muoversi in bicicletta e soprattutto quanti soldi possa generare l’enorme indotto che ruota attorno alle due ruote a pedali.
È curioso, ma è anche significativo, perché è proprio in città così “ciclisticamente critiche” che più occorre radicare tra gli amministratori e tra i residenti una coscienza che favorisca e stimoli iniziative virtuose attorno ad uno dei segmenti più floridi di quella che i tecnici chiamano “economia compatibile”: appunto, ci riferiamo all’economia della bicicletta e alle mille filiere che questa è in grado di attivare e alle infrastrutture e all’industria che riesce a coinvolgere. Questo l’obiettivo dell’osservatorio sulla Bike Economy, che appunto da tre anni si riunisce a Roma per fare il punto sulle migliori pratiche italiane e le esperienze internazionali legate all’economia della bicicletta, su quali siano i risvolti economici legati agli investimenti nel mondo della ciclabilità, in particolare quella urbana. “The Booming Bike” è stato intitolato il forum che si è svolto lo scorso 15 novembre nel centralissimo Maxxi, Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo, proprio a ricordare come la bicicletta possa essere un moltiplicatore non solo dal punto di vista economico, ma anche in una prospettiva di benessere sia individuale che collettivo.
L’esperienza di Move Meter
Per progettare, indirizzare e gestire le smart cities, ossia le moderne città “intelligenti”, quelle in cui le infrastrutture e i cittadini sono messi in una relazione ottimale grazie all’impiego diffuso di moderne tecnologie della comunicazione e di strumenti di mobilità efficienti ed ecologici (primo tra tutti la bicicletta) c’è chi in Olanda ha messo a disposizione degli enti che vogliano servirsene una piattaforma on-line: Move Meter è stato sviluppato da Marcel Van Lieshout e si sfrutta l’enorme mole di informazioni che sono in grado di generare le moderne fonti di big data come i Gps e i Gsm che vengono utilizzate quotidianamente nelle grandi città. Si tratta di dati in grado di fornire una visuale puntuale di quella che è la reale situazione e le reali condizioni di traffico di una grande città, simulando poi ipotetiche soluzioni alternative basate sulla costruzione di infrastrutture ciclistiche che affianchino, oppure sostituiscano, il sistema di viabilità di quel tessuto urbano.
Il sistema parte da un analisi del livello di accessibilità di quel posto, la velocità medie di percorrenza, le distanze medie degli abituali spostamenti urbani e il volume del traffico su piccole e grandi arterie; il passo successivo di Move Meter è fornire una proiezione realistica degli effetti economici, sociali e di salute indotti dalla creazione di piste ciclabili e in genere di infrastrutture ciclistiche, fornendo agli amministratori o alle realtà che volessero servirsi di questo strumento non uno, ma diversi scenari possibili. Ad oggi si sono serviti di Move Meter città olandesi, tedesche, belghe, sudafricane, statunitensi e messicane, ma di recente si è avvicinato allo strumento anche Milano. Insomma, Move Meter è una piattaforma informativa, uno strumento per rendere efficiente un investimento da parte degli amministratori, gli urbanisti e i tecnici che regolano la mobilità nelle grandi e piccole città.
Ciclabili utili e di qualità
Una pista ciclabile è evidentemente l’elemento principe su cui si fonda la mobilità ciclistica di una città o di un territorio. Ma come va costruita un’infrastruttura di questo tipo? Quale il quadro normativo da rispettare? Il Bikeconomy Forumne ha discusso nella tavola rotonda “Desiderio di bici”, dove sono stai fatti esempi concreti di realizzazioni fattive di infrastrutture per la bicicletta. Italo Meloni, Direttore del Centro Interuniversitario Ricerche Economiche dell’Università di Cagliari, ha ad esempio parlato del neonato Piano Regionale della mobilità ciclistica della Regione Sardegna, approvato lo scorso luglio: più che una semplice infrastruttura in sé, Meloni ha sottolineato che una ciclovia deve essere considerata come un qualcosa di più complesso, un filo che attraverso un percorso lega pezzi di territorio e coinvolga tutte le realtà potenzialmente interessate. La stesura tecnica della rete della Sardegna Ciclabile (www.sardegnaciclabile.it) ha poi affrontato la questione dei parametri tecnici da assegnare ai vari itinerari, i criteri per stabilirne l’indice di difficoltà, il grado di protezione e un più in generale definire un indice di ciclabilità dei percorsi tracciati. Il punto fondamentale è che quello sardo è un piano creato non solo per chi la bicicletta la usa già, ma principalmente è dedicato a chi non va in bicicletta, a chi ad esempio volesse utilizzare la bici durante la propria vacanza sull’Isola, avvicinando così nuovi pubblici al cicloturismo e alla mobilità in bicicletta.
L’ingegner Enrico Chiarini, esperto di mobilità urbana, ha invece affrontato il tema del Bicilplan, con il quale la mobilità in bicicletta passa ad un livello più specificamente normativo e urbano: il Biciplan è infatti il recepimento a livello di amministrazione comunale del più generale Piano Regionale dei Trasporti, che a sua volta prevede che le Regioni debbano obbligatoriamente fare mobilità sostenibile. Il Biciplan dovrebbe comprendere tutti gli aspetti legati agli obblighi normativi, alla resa economica e al principio etico che le infrastrutture ciclistiche di un determinato Comune devono soddisfare: solo se questi tre fattori si intersecano è possibile creare una vera economia della bicicletta, cosa che invece non è successa nelle tante esperienze recenti i Comuni che hanno gestito gli investimenti dedicati alla mobilità in bicicletta in modo disarticolato o addirittura farneticante. «Fare un Biciplan – ha sottolineato Chiarini – è fare politica, perché significa incidere sull’immagine della città, coinvolgendo luoghi, relazioni sociali e attività lavorative». Inoltre, diversamente da quel che è accaduto in molti posti delle nostre città, un Biciplan deve prevedere di poter andare in bici ovunque, fino alle singole abitazioni, altrimenti si dimenticano i destinatari principali di questo strumento che sono appunto i singoli cittadini. Tutto questo va fatto su percorsi agevoli e sicuri, che tra le altre cose abbiamo una segnaletica di direzione che allo stato dei fatti ancora non è normata, ancora manca a livello nazionale.
A chiudere la tavola rotonda l’intervento di Paolo Pileri, responsabile del progetto VenTo, la ciclabile che unisce Venezia a Torino, probabilmente l’esempio più forte e tangibile di bike economy in Italia: VenTo è una dorsale cicloturistica dedicata soprattutto a chi ancora non va in bicicletta. Oltre alla ciclabile in sé – dice Pileri – l’obiettivo è innescare grazie ad essa una serie di altre economie, ad esempio l’economia dell’arte e del cibo dei mille posti attraversati dalla ciclovia, l’economia della progettazione e della riqualificazione dei tanti siti abbandonati – stazioni dismesse, vecchi alberghi, piccoli negozi – che con la ciclovia possono riprendere vita. Il modo migliore di fruire di VenTo e in genere di una vera ciclovia? Lentezza e permeabilità sono le due parole d’ordine, la lentezza che permetta di godere di posti e situazioni impensabili ad un procedere più veloce come quello dell’auto o del treno; la permeabilità di percorsi in grado di raggiungere i posti lontani dalle tradizionali mete del turismo e del viaggiare. In Europa – ha ricordato Pileri – un chilometro di pista ciclabile porta a circa cinque posti di lavoro se si considera l’indotto che genera. «L’obiettivo anche da noi deve essere questo, ma per raggiungerlo abbiamo capito che servono ciclabili vere, non servono itinerari, servono ciclabili vere, protette, sicure». In Germania, che è Paese leader per il cicloturismo uno studio ha calcolato che in totale la gente trascorre ben 175 milioni di giornate in bicicletta l’anno. «Da questi numeri si riesce a fare economia – ancora Pileri -, si mette in moto un Paese, ma lo si fa solo se le tante realtà interessate fanno uno sforzo, uscendo per prima cosa dal loro recinto e muovendosi in modo coordinato le une con le altre. Altrimenti quel che viene fuori è un pasticcio e basta».
La nuova bici
È partito da lontano Piero Nigrelli, per spiegare cosa l’avvento delle biciclette elettriche potrebbe generare nel nostro Paese nell’immediato futuro: per introdurre la tavola rotonda “Quanti soldi a questa bici!”, Nigrelli, che è il responsabile del settore ciclo di Ancma, è partito dal boom che alla fine degli anni Ottanta e all’inizio dei Novanta generò il nascente mercato della mountain bike, la bicicletta da montagna, o se preferite la bicicletta che ti permetteva di andare ovunque, quella che in pochissimi anni rilanciò l’economia delle due ruote. «Volevo chiedermi se la stessa cosa possa accadere anche per le bici elettriche», spiega Nigrelli, lui che di recente ha condotto assieme ad Eumetra una ricerca per capire chi è e cosa pensa chi acquista oggi una bici elettrica, qual è la percezione che ha di questo mezzo la gente e quale la differenza rispetto agli altri veicoli più “tradizionali”. La ricerca è giustificata dai numeri in continua crescita che sta generando il mercato delle bici elettriche negli ultimi anni anche in Italia, dove nel 2017 le pedelec, cioè le bici a pedalata assistita, hanno ufficialmente fatto segnare 148000 esemplari venduti. I dati e le informazioni ufficiali del sondaggio ancora non sono pubblici, ma Nigrelli ha anticipato che nei risultati la bicicletta elettrica è risultato l’oggetto che nella percezione del pubblico ha ricevuto il minor numero di rifiuti da parte del campione intervistato.
Ora la grande sfida, e questo non è solo Nigrelli a ricordarcelo, è capire se ad affermarsi in un immediato futuro che va sempre più verso l’elettrico, sarà più la bicicletta oppure lo scooter ad alimentazione assistita, scooter che lo stesso Nigrelli definisce il più forte competitor delle pedelec. «Quel che è certo – conclude Nigrelli – è che se vogliamo sognare, facendo i conti, per le e-bike se c’è un mercato potenziale di 3 milioni di pezzi». Numeri da far paura e che fanno riflettere. Anche e soprattutto i big dell’industria motociclistica.
Maurizio Coccia