2 lug 2016 – Ci sono le maree da quelle parti, che la gente la vedi partire con le buste di plastica vuote e tornare dopo qualche ora riempite di crostacei. Un paradiso per gli amanti della cucina. Un paradiso che una volta è stato un inferno. E l’arrivo a Utah Beach celebra proprio quel D-Day del giorno dello sbarco degli Americani per liberare l’Europa. Era il 6 giugno 1944 e a più di settant’anni, in tutt’altro clima, è Mark Cavendish a conquistare Utah Beach. Il nome è ancora quello dato nel codice degli Americani allo sbarco. Il clima è così di festa che i monumenti che ricordano quel giorno stridono ancora di più.
Cavendish festeggia con l’abbraccio della figlia che lo raggiunge alle interviste e diventa più umano che mai. Inesorabile in quegli ultimi 5 chilometri corsi in meno di 5 minuti, che fanno più di sessanta all’ora di media. Peter Sagan che si è trovato al vento ed è dovuto partire lungo ad anticipare, troppo per non essere saltato da due volponi come Cavendish e Kittel. Signori: il gotha del ciclismo veloce sopravvissuto pure a una caduta proprio nel finale. Con la maglia gialla in ballo si frena sempre un attimo dopo. A volte non basta. Tappa bella, sì, negli ultimi chilometri. Prima un po’ noiosa come è normale per una frazione del genere, ma interrotta da una carambola di gruppo che trascina a terra anche Contador, che ne esce un po’ malconcio ma rientra in gruppo. D’altra parte basterebbe l’adrenalina degli ultimi chilometri per fare una buona media in una tappa così. Anche senza cadute in più.
Ora la spiaggia torna ai ricordi e al silenzio interrotto solo dal fruscio di windskate e carri a vela.
Almeno fino alla prossima marea.
GR
Carissimo Guido,
Il tuo modo di parlare di ciclismo, così pulito, rotondo e pieno mi entusiasma ogni volta!
Max