5 lug 2017 – Prima salita e Froome in maglia gialla. Vista così sarebbe routine, quello che ci aspettavamo. Ma non è così. Quella è solo l’estetica, perché sotto c’è un mondo che si chiama Fabio Aru e che è tutto da scoprire.
Aru ha passato un anno pazzesco, non si è demoralizzato e ha lavorato bene. Ha portato a casa un campionato italiano con apparente facilità (nel suo staff prima dell’italiano si respirava una sicurezza quasi sfacciata) e si è presentato al Tour con le carte in regola. Nemmeno la pressione della squadra per un contratto ancora non rinnovato. Lui ha pedalato sereno in questi giorni. Si è difeso bene nella cronometro iniziale, ha tenuto sotto la pioggia ed ha schivato cadute e pericoli e polemiche nelle giornate di bufera di velocisti e pirati.
E al primo momento giusto ha fatto il suo lavoro. Semplice, facile da farlo sembrare naturale. Non è stato uno scatto forzato di quelli tenuti coi denti da arrivare al traguardo finito. Ha spinto quel che è servito ma era quello il suo ritmo. Dopo la botta forte, si è seduto e ha continuato ad aumentare il vantaggio. Non ha parlato con l’ammiraglia, non ha aspettato di sapere dal misuratore di potenza e dal frequenzimetro se stesse facendo bene, certe cose, ai campioni, le dicono direttamente le gambe. Ha pedalato ed è arrivato da uomo solo, al comando. Con la maglia tricolore che è già diventata a pois da scalatore più forte per tutti.
Lo scatto di Aru
L’arrivo
GR