È una granfondo anomala, e proprio per questo vale la pena provarla: la DJ100 parte e arriva da Milano e non supera i 300 metri di dislivello, ergo una prova di pura velocità in gruppo. Ma i partecipanti alla terza edizione della gara più radiofonica d’Italia hanno trovato nel pacco gara una maglia speciale confezionata da Santini con tessuti Polartec che gli appassionati troveranno in negozio solo nel 2021. Ecco come è andata.
L’appuntamento con Alessandro è alle 7 e mezza del mattino nella hall dell’hotel: «Carlo, qui c’è tutto: nella busta bianca il pettorale, nella sacca di cotone maglia e pantaloncini». Dalla busta bianca fuoriesce il dorsale: 40, numero pari, buona sorte. La sacca è come il cilindro di un prestigiatore: una maglia personalizzata della Deejay100, i pantaloncini coordinati, un cappellino sottocasco, i calzini e persino i guantini, il tutto fatto in casa Santini che per l’occasione ha confezionato con tessuti Polartec le divise ufficiali della granfondo radiofonica.
Sì proprio Polartec, quella che negli anni 80 inventò il pile (che poi si dice fleece) e che oggi è lo stato dell’arte nella tecnologia tessile dello sport.
Il cielo di Milano nel frattempo si è ingrigito, promette acqua che però non arriverà, perché ha già bagnato le strade lombarde prima dell’alba. La vestizione di fretta, quando mancano pochi minuti al via e con gli altri giornalisti venuti da mezza Europa che gridano dalla strada “Dai Carlo, sei pronto? Andiamo??” è la situazione ideale per dimenticare qualcosa. Alessandro di Polartec mi fa cenno con la mano che si va. Faccio una breve check-list mentale: Garmin sul manubrio già connesso con tutte le periferiche possibili, occhiali Briko con lente rosa per evidenziare le differenze visive, borraccia con Aximagnesio di Pegaso, cellulare con 5 euro che non si sa mai, chiavi della macchina e macchina chiusa. Via, tutto a posto. Una settimana fa ero sulla stessa linea di partenza per un trail di 25 km a piedi (di cui 500 metri di sterrato… ed era un trail!), oggi va in scena una gara amatoriale in una territorio che, con due ponti e un sottopasso, non è certo l’ideale per una granfondo. Ma tant’è. Milano è in grado di sorprendere persino sé stessa.
Gli ospiti speciali hanno diritto alla prima griglia che risulta piuttosto affollata, tanto che persino Linus si adopera per spingere (o respingere) dietro la linea di partenza decine di ospiti indisciplinati. Alle 8 milanesi il ‘pronti via’ e dopo le prime due pedalate ti penti di esserti schierato lì davanti, perché come quando apri una arnia piena di api, vieni avvolto da uno sciame di ciclisti disposti a tutto pur di stare davanti. E la Deejay100 non consente strategie di gara diverse da quella che dice di stare nel primo gruppo. “Non all’aria, mai al vento, ma sempre ben coperto, a succhiar la ruota di quello davanti” sento dire alle mie spalle. Consigli pregara che alzano la tensione.
Pedalo con Alessandro per qualche chilometro e lo rivedrò a cena. L’uscita da Milano zona Portello, è a 40 all’ora, il rientro dopo due ore e mezza un filo meno. In mezzo un’unica ripetuta di un centinaio di chilometri fatti “a tutta” stando bene attento a bere dalla borraccia e guidare con una mano sul manubrio, mentre intorno a te cicloamatori in lista d’attesa per Quota 100 scattano e riscattano, zigzagando tra gruppetti di girovita abbondante.
Dal gruppone senza soluzione di continuità dopo una manciata di chilometri si creano nuvole ulcerose di ciclisti alla ricerca disperata di un ricongiungimento familiare. Si studiano sante alleanze per mettere davanti qualcuno a tirare, avviare una partnership con l’obbiettivo comune di chiudere il buco col gruppetto che ci precede, ma alternarsi in testa e darsi i cambi regolari così da spendere meno energie e ottenere una velocità di crociera superiore agli avversari, è oggettivamente troppo complicato per essere compreso da un ciclista amatore. Io c’ho provato a spiegarlo, ma lo sguardo dei miei interlocutori non lascia dubbi sulla necessità di un intervento di PNL. Rinuncio. Mi arrendo. Non ce la farò mai. Poi, a fine corsa, quando racconto questa cosa, tutti a dire “Eccerto… non la capiscono… troppo duri di comprendonio…”. Va’, lascia stare.
Così come hanno lasciato stare i due ristori collocati a metà percorso: strutture di rappresentanza andate pressoché deserte. Fermarsi significa rinunciare al gruppo e aspettare il treno successivo. Un paio rallentano, si affiancano alla tenda rossa gridando: “Acqua ca**o, dammi l’acqua … i sali, dove sono i sali?? Dai su … muoviti …”. Credo di poter immaginare la risposta del volontario sotto il gazebo rosso: “Vieni a prendertela, tesoro”. Bravo, voto 7 + bene.
Fenomeni da granfondo domenicale, campioni mancati. Come quello davanti a me che getta lo scarto scarlatto del gel per terra, perché riportare a casa la tua rumenta costa troppa fatica. Al giro di boa si ritorna in direzione Madonnina, e si ripassa sull’autostrada A4: il cavalcavia diventa un Gran Premio della Montagna con piccoli e grandi grimpeur a scattare, in piena acidosi spirituale. Lasciamo il Ticino alle nostre spalle e pedaliamo con a destra il Naviglio Grande.
All’improvviso ho fame! No, la crisi da fame. Ecco, penso, la fretta nella vestizione mi ha fatto dimenticare la barretta proteica che avrei mangiato volentieri. Mannaggia. E la banana? Rimasta nel bagagliaio della macchina. Intanto la pioggia della nottata ha lasciato l’asfalto bagnato e, complici le rotonde che ormai affliggono tutte le strade provinciali e non, la strage di ciclisti per terra diventa una scena che si ripete con cadenza regolare, quasi ogni 10 minuti. Assisto all’ultima caduta proprio all’entrata in città: basta una distrazione, ci si tocca con quello a fianco e il panico avvolge i protagonisti prima che atterrino sull’asfalto. Molte imprecazioni e qualche sirena di ambulanza a raccogliere i superstiti.
Allarmi da Croce Rossa che si mixano con i clacson delle macchine ferme in coda, bloccate da decine di vigili urbani: dai vetri abbassati di grigie BMW e argentate Mercedes, di generose Toyota e modeste Fiat, di aerodinamiche Citroen e dimenticate Lancia, escono braccia di autisti che librano nell’aria di Milano un nervoso dito medio in nostra direzione. Qualcuno dei miei compagni di viaggio risponde raddoppiando le dita: il mignolo e l’indice, protesi ambedue verso l’alto. Il linguaggio dei segni tra veicoli diversi, interessante tema da sviluppare in futuro, a significare la sempre più gradevole e stimolante convivenza tra animali di razze diverse.
Quando torno alla macchina, a gara finita, trovo la banana che mi guarda: mi siedo sotto il portellone aperto e, nella Milano che si appresta all’aperitivo, ingurgito il frutto giallo. L’autoradio accesa manda il notiziario delle undici. Sfilo la maglia sudata da 100 chilometri “a tutta”: è una limited edition, come si dice in questi casi, e soprattutto una anteprima esclusiva, perché questo modello entrerà a far parte delle collezioni Santini dalla primavera 2021. Mentre mangio l’ultimo boccone di banana leggo il testo che accompagna la maglia: ‘tessuto Power Stretch per assicurare un comfort ottimale durante il movimento grazie alla trama di fibre studiate da Polartec per avere la massima elasticità nelle quattro diverse direzioni e tecnologia Delta, un tessuto altamente rinfrescante con una speciale lavorazione a maglia fatta e una combinazione di filati idrofobi e idrofili capaci di offrire una veloce veicolazione del sudore all’esterno, garantendo una rapida asciugatura e ampia traspirabilità’.
Finito il frutto, ripiego tutto e mi fionda a casa, in tempo utile per mettere le gambe sotto il tavolo. Il pranzo è servito, la DJ100 anche.
Carlo Brena