14 ott 2019 – Che fosse una Granfondo nata sotto una cattiva stella lo si era capito a due giorni dall’evento, quando l’organizzazione aveva ufficializzato il dimezzamento netto del percorso; che poi l’ottava edizione della Granfondo Campagnolo Roma proseguisse anche peggio noi cicloamatori lo abbiamo scoperto domenica mattina, nel giorno di gara, quando, schierati in griglia in un senso che non era quello abituale, abbiamo capito che anche lo scenografico giro nel centro storico di Roma era stato annullato: addio foto classica dei ciclisti in griglia con alle spalle il Colosseo, addio selfie memorabile da mettere nella bacheca dei ricordi. Nulla di tutto questo: abbiamo invece preso il via ad una Granfondo che è stata a dir poco sottotono e che nulla ha avuto del fascino, dell’unicità e dell’incanto che ha saputo offrire nelle precedenti sette edizioni.
Volendo affondare ancora più il dito nella piaga, di difetti inammissibili una Granfondo che doveva essere tra la più famose, partecipate e ambite al mondo ne ha avuti altri, tra cui l’assenza di uno speaker in lingua inglese che affiancasse quello italiano in un evento dove prendono parte numerosissimi stranieri; possiamo poi parlare dell’inadeguatezza di un villaggio Granfondo che, nonostante si trovasse in un posto che si chiama Circo Massimo, non ci è sembrato al livello che un evento del genere meriterebbe. Sì, perché a parte il pasta-party della domenica, mancava qualsiasi posto destinato alla ristorazione.
Fin qui i dati di fatto, che negli ultimi giorni hanno alimentato fior di polemiche moltiplicate da quel micidiale detonatore che sono i social media: tra gli argomenti più “caldi” della querelle, quello di quale sia stato il Comune responsabile del diniego al passaggio dei ciclisti e le responsabilità, chiamate in causa, del vecchio “proprietario”. Si è letto e sentito di tutto: congetture, ipotesi, dietrologie campanilistiche che a dire il vero ci sembrano piccole e tipicamente italiane; e soprattutto si tratta di teorie che difficilmente potranno essere dimostrate.
All’ipotesi del “complotto” facciamo fatica a credere, perché semplicemente non avrebbe senso, visto che a farne le spese sono stati davvero tutti: dai partecipanti a i nuovi organizzatori, compresi gli sponsor, ma anche il “vecchio proprietario”.
A rimetterci sono state soprattutto le prospettive che può avere nel prossimo futuro l’organizzazione di un grande evento ciclistico di massa nella Città Eterna.
Non ci sentiamo neanche di portare irrevocabilmente al patibolo la struttura organizzativa di quest’anno: sappiamo bene che l’errore che hanno commesso è stato grave; ma sappiamo anche che la regia tecnica dell’evento ha provato fino alle 24:00 del giovedì precedente l’evento di trovare in extremis una soluzione alternativa.
«La sindaco di Rocca di Papa ci aveva proposto un tracciato alternativo – ci ha spiegato Ivan Piol, cioè uno degli organizzatori di Granfondo più competenti ed esperti in Italia, proprio lui che a questa sfortunata edizione della Granfondo Campagnolo Roma ha collaborato come consulente esterno, ma che nulla ha potuto contro un’incredibile concomitanza di eventi sfavorevoli – In realtà quella soluzione alternativa non era tecnicamente praticabile, perché avrebbe messo a rischio la sicurezza dei ciclisti.
«A complicare ulteriormente il tutto – ci ha spiegato sempre Piol – anche l’improvvisa impraticabilità di un viadotto nella zona dei Castelli, che avrebbe potuto rappresentare un’altra soluzione possibile».
Di sicuro la sola competenza di un singolo consulente esterno poco ha potuto contro le criticità di un contesto e un territorio tradizionalmente ostili alle manifestazioni ciclistiche, non fosse altro perché a scontrarsi con le mille difficoltà logistiche è stata quest’anno una società che organizza sì grandi eventi, ma che a sua volta aveva dato in gestione ad una realtà più piccola la regia della Granfondo romana. A guidare il tutto è stata una piccola Asd, la romana Atleticom, che ha esperienza organizzativa negli eventi podistici ma non in quelli ciclistici e che probabilmente, per curare la Granfondo capitolina, ha fatto l’incorreggibile errore di mandare sul campo personale poco esperto per un simile evento.
A poco allora è valsa l’encomiabile iniziativa di rimborsare tutti i granfondisti della quota eccedente che avevano pagato per pedalare sul percorso lungo (l’organizzazione ci spiega che saranno rimborsati in automatico nel giro di una settimana, per mezzo di un bonifico), perché venerdì mattina 11 ottobre, al momento della ufficializzazione dell’annullamento del percorso granfondo, la frittata era già stata fatta, la figuraccia mondiale era già cosa nota.
La speranza, all’indomani di questa esperienza negativa, è che ci siano ancora degli spazi per salvare il patrimonio che questa granfondo aveva faticosamente costruito in sette anni, sette anni difficili, per carità, sette anni fatti di diffidenza da parte di chi diceva che un evento del genere a Roma era “roba da matti”, sette anni di parolacce e insulti da parte dei tanti residenti di Roma e dintorni che le biciclette non le vogliono proprio vedere…
In sette anni la granfondo Campagnolo Roma ha dimostrato che questo muro in realtà lo si può oltrepassare e sarebbe davvero un peccato se per colpa di una sola – sfortunatissima e di sicuro sventurata edizione – tutto questo patrimonio venisse disperso. Noi siamo certi che non sarà così e che, una volta raffreddati i toni di una polemica che adesso è ancora infuocata, ci sarà qualcuno pronto a raccogliere di nuovo la “sfida” di un grande evento ciclistico di massa nella Capitale. Capace di dialogare anche efficacemente con gli sponsor, trovare percorsi davvero fattibili e soprattutto riconquistare la fiducia più importante: quella dei ciclisti italiani e di tutto il mondo.