Anche quest’anno, il penultimo weekend di agosto, sulle labbra ancora il sapore delle libagioni ferragostiane, molliamo tutto quello che stiamo facendo, e ovunque siamo, partiamo, come guidati da un piffero magico, e dirigiamo i nostri navigatori verso la piazza del mercato di Marlia, nel Comune di Capannori.
È La Vinaria ad attirare lì tutti noi aficionados, armati di bici d’epoca, bragoni e magliette in lana cotta, favoriti e barbe scolpite per l’occasione in fogge al confine con un viaggio nel tempo, improbabili pois e gonnelle.
È La Vinaria, una via di mezzo tra raduno familiare di vecchi amici ed evento VIP, manifestazione ciclostorica ma anche eno-gastronomica e sottilineo eno. La Vinaria, coi suoi percorsi inaspettatamente aspri e selvaggi, ingentiliti come in un trompe l’oeill da ville antiche e borghi in pietra che fiancheggiano sterrati in piedi, in cui ciclisti che paiono immobili come dipinti ad olio arrancano impolverati verso il ristoro successivo.
Ideata, fondata, e “covata” dal clan Carube, il grande, in tutti sensi Roberto Lencioni – ma chi lo chiama così? – meccanico iconico di tanti campioni, La Vinaria tenta ogni anno di compensare la durezza dei suoi percorsi coccolandoci a più non posso con festeggiamenti e leccornie.
E ci riesce benissimo.
La Vinaria si svolge di domenica, con partenza ad un orario non indecente e una colazione anch’essa d’epoca: caffelatte e pane e marmellata da pucciarci dentro, proprio come si faceva da bambini.
Ma la festa comincia prima, molto prima.
Io arrivo già il venerdì pomeriggio, per non perdermi proprio niente.
Ed è subito Vinaria: l’abbraccio di Carube, il profumo degli arrosticini della macelleria dei Fratelli Bernardi che si stanno facendo belli per la cena, l’Ape Ritivo con le signorine anni 30 che ti offrono lo spitz dall’Apecar d’antan, le canzoni dei nonni, le bancarelle già pronte, e le auto vecchie almeno quanto me.
Fanno già mostra di sé i trofei di legno scolpiti a mano da Luca Simoni: quelli “in memoria”, per Luciano Berruti eRoberto Silva, amico de La vinaria tragicamente scomparso in un incidente, quello per la squadra più numerosa e quelli goliardici per i “meno leggeri”, e i “meno pesanti “(dopo quei ristori, difficilissimi da trovare).
È bello ritrovarsi ogni anno, sempre più numerosi – quest’anno siamo quasi 250 – molti locali, ma i“foresti” sono molti di più. Alcuni stranieri, americani, svizzeri e tedeschi. E i VIP che non mancano mai. C’è sempre Cipollini che “passa di lì” per un saluto, e Magrini, la vera guest star di quest’anno, Poggiali e Pescini, Sindaco di Gaiole a onorare la vicinanza con l’Eroica, per non dire di Rossi e di Brocci che è “volato” nottetempo – ce lo immaginiamo volare proprio come Superman – direttamente dall’Eroica germanica; arrivano anche Jacek Berruti, figlio del grande Luciano e sua moglie Elena Martinello. E c’è Mirella Pontiggia, che a vederla in sella o a chiacchierarci sembra una di noi, ma in realtà è il Vice Questore e dirigente della Polizia Stradale di Bergamo, nonché capo della scorta di tanti Giri d’Italia e gare prestigiose, la famosa Auto Uno. A lei verrà consegnato il premio 200, per celebrare il duecentesimo anniversario del comune di Capannori.
Il vero eroe di quest’anno però è Simone Masotti, ciclista da sempre che da qualche tempo pedala con un ingombrante compagno di viaggio: il Parkinson, ma lui non molla, definisce la bicicletta il “suo deambulatore” e racconta la sua esperienza nel libro scritto con Max mauro “In bicicletta sono libero (in viaggio con il Parkinson)” edito da Ediciclo. Il popolo de la Vinaria lo trasforma immediatamente in un best seller acquistando in un secondo tutte le copie che si era portato dietro.
Il sabato del villaggio de La Vinaria
Il sabato c’è aria di vacanza l’atmosfera è leggera e rilassata, in barba alle temperature e a conferma della sostenibilità di questo modo di fare ciclismo che nulla produce e nulla consuma, ecco un ponte green tra passato e futuro: una scampagnata in e-bike organizzata da Enel Power verso la centrale idroelettrica di Pian della Rocca, che finisce in uno squisito pranzo bucolico all’ombra degli ulivi dell’ Arca di Noè di Camigliano a base di prelibatezze locali.
Per oggi non sono le gambe a produrre energia, ma intanto ci carichiamo per il giorno dopo.
Bici antiche, chiacchiere e profumo di caffelatte
La mattina di domenica c’è attesa nell’aria, il piazzale si riempie presto di vecchie bici, chiacchiere e profumo di caffelatte. I fotografi si schierano subito preparandosi a immortalare la partenza e ritrarre i più pittoreschi.
Io mi mischio ai partenti, e mi godo il momento, preparandomi al via in mezzo ad amici e sconosciuti, che amici diverranno presto.
La sindrome della bici fantasma
Peccato che sono a piedi. Una caduta scema – che ce ne fosse mai una intelligente – una frattura e una lunga convalescenza non ancora del tutto finita mi hanno messo a terra per un po’. Ma non ci faccio caso, e, vittima della sindrome della bici fantasma, al count down di Carube, parto anch’io.
Sento la ghiaia e le pietre che scricchiolano sotto le ruote, facendole slittare. Il sole troppo caldo, il fiato corto. Immagino tutto il percorso e soprattutto pregusto già la ricompensa dei ristori, il sapore salato dei crostini con le acciughe marinate di Cristina, che di cognome fa Carube, a contrasto col dolce del vino, che per me sono il simbolo di queste giornate. Taglio dritta verso La Badiola, il primo ristoro, dove la banda aspetta i ciclisti per festeggiarli a dovere, proseguo per alcuni chilometri su una bellissima strada bianca in mezzo a boschi fitti e scuri, le foglie appena infarinate dalla polvere. Sbuco sull’asfalto camminando piano e mi ricordo tutta la fatica degli anni scorsi. Per la prima volta arrivo a Matraia senza “vedere la Madonna”, e per la prima volta mi concedo il lusso di cogliere qualche mora dai cespugli. Cammino piano, lenta come quando pedalo, mi godo ogni istante e tornando, guardo uno ad uno i ciclisti che mi vengono incontro. Vedo la gioia e la fatica, la bellezza di pedalare insieme e di farcela, o anche di non farcela e insieme, di scendere e spingere.
Perché la bici è una parte di noi, che arricchisce il nostro mondo, lo rende pulito. La bici diverte, e unisce, muove energie preziose, regala bellezza e ci insegna a guardarla da un punto di vista unico.
Anche quando non c’è.
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