10 set 2017 – Mario Beccia ne ha già presa troppa e sorride. «Non mi cambio nemmeno» e guarda Gilberto Simoni che è uscito dall’albergo vestito di tutto punto, maglia rossa Wilier Triestina, pantaloncini di lana, cappellino con la visiera a riparare dalla pioggia. Ne viene giù tanta e da diverse ore, lo sterrato diventa fango. Per ora il ghiaino di Villa Sandi, da dove parte la manifestazione, assorbe bene l’acqua. Ma fuori dalla tenuta sarà diverso.
La Emilio De Marchi edizione 2017 è una perla inserita nell’organizzazione mastodontica della Prosecco Cycling. Ospiti di riguardo e gambe che furono ma si difendono bene anche oggi.
Ci sono coppie come Argentin e Furlan, Moser e Fraccaro, Beccia e poi Simoni, tra storia moderna e ricordi di lana, occhi che guizzano a guardare l’orizzonte che non dà speranze.
Campioni e tifosi
L’Altamarca è fatta di strade che corrono sotto le colline e si imbucano in filari d’uva che sta per diventare pregiata, bollicine come risate anche sotto il grigio più scuro. Asfalto all’inizio, poi, al giro di boa delle Cantine Scottà inizia lo sterrato, quello che fa tintinnare la catena sull’acciaio ma non insulta troppo le biciclette. Colori che ben presto di uniformano col fango che salta su a dipingere telai e uomini e anche donne. Diverse cicliste al via nel gruppetto pur decimato dalla pioggia e da coincidenze di altre ciclostoriche. Va così. Le ciclostoriche sono un fenomeno che è diventato moda ma si è anche diluito col tempo in tanti tentativi più o meno riusciti e che finiranno per selezionarsi da soli se alle spalle non c’è un’organizzazione e una struttura forte.
La Emilio De Marchi è la storia bella di un maglificio nato nel 1946 e che del ciclismo ha vestito tanti nomi importanti, da Magni a Bobet e anche Coppi, con una maglia che Elda De Marchi ha realizzato appositamente dopo un sogno premonitore che preannunciava le strisce iridate. Poi via via tanti altri del ciclismo storico e moderno. Maglie di lana diventate icona di stile fino alle più moderne che parlano di performance e decimi di secondo al chilometro.
Quella dei ciclostorici, intanto è una bella prestazione. Sotto l’acqua che non molla neanche un minuto c’è da scaldarsi. E allora si pedala veloce per battere il freddo.
Qualcuno molla, un po’ troppo lento da non poter essere coperto da un servizio d’ordine da grande occasione. Certo è facile quando i partenti non sono tanti, ma qui si potrebbe crescere davvero bene. Basta volerlo e guardare lontano. Si è fatta la storia d’Italia da queste parti. E anche il ciclismo ne ha raccontata un bel po’.
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Guido P. Rubino