5 mar 2018 – Avrò sentito parlare di Astori un paio di volte, ne ho letto un po’, approfondendo, solo dopo aver appreso la notizia della sua morte. Ho cercato un po’ on line per conoscerlo di più e ne sono venuti fuori aspetti significanti e lontani dall’immagine che spesso ci si fa del giocatore di calcio superficiale e annebbiato dai soldi.
Intanto che la giornata proseguiva apprezzavo anche i messaggi di amici ciclisti e appassionati di ciclismo che commentavano la notizia con tristezza e lontani da qualsiasi paragone ciclismo/calcio che sarebbe stato fuori luogo, tanto più in questo caso, ma sono comunque spesso di cattivo gusto e poco furbo (è triste e inutile puntare il dito contro chi sta peggio, il più delle volte).
Il paragone, però, a quanto pare, è arrivato dal calcio. E lo leggo con tristezza proprio da un comunicato della Federazione Ciclistica Italiana che, giustamente, ha chiesto spiegazioni a nome del presidente Di Rocco.
“Caro Presidente,
amici comuni mi dicono che durante Novantesimo minuto di ieri avrei offeso la memoria del ciclismo quando parlando della morte di Davide Astori avrei detto che non era una morte da ciclismo. Ricordo di aver usato questa specie di paragone, ma non con un intento offensivo. Nè vedo perchè avrei dovuto farlo. Tu sai l’amore che porto a uno sport che ha contribuito tanto alla mia storia professionale. E dove ancora oggi ho tanti amici e ricordi. La differenza che intendevo è che Astori è morto a letto, nel sonno, non aveva fatto i durissimi sforzi atletici che si fanno nel ciclismo e che a volte hanno portato a incidenti gravi. Non volevo certo fare una gerarchia della morte nello sport. Nè offendere qualcuno, non sarebbe stata nemmeno la trasmissione giusta per farlo. Nè mi va mai di offendere qualcuno in generale. Se non mi sono fatto capire mi dispiace, è colpa mia. Ma non mi ritrovo in qualcosa che mi mette contro un mondo che è stato e resta una parte importante di me. A presto e con l’affetto di sempre,
Mario Sconcerti”
Questo il messaggio inviato dal giornalista e diffuso, in seguito, dalla FCI. Ok, prendiamola per buona, ma visti alcuni fatti tristissimi e tragici (e disgraziati) riguardanti il ciclismo il nesso era anche fin troppo logico. Tanto più che la toppa apposta come giustificazione parla di sforzi atletici che “a volte hanno portato a incidenti gravi”. Come se la fatica fosse causa di incidenti gravi.
Via. A volte è meglio un rispettoso silenzio. Come quello di tutti coloro che si sono inchinati alla memoria di un campione.
Guido P. Rubino