È morto Davide, uno di noi, uno come me. È morto, ma sarebbe potuto capitare a me, o a mia figlia, o a chiunque altro meno famoso di lui: per esempio, a uno come Luca, ragazzino investito a Milano alla stessa maniera, oppure a Giuseppina, travolta a Lodi, anche lei in sella alla sua bicicletta. Ma non chiamatela fatalità, non chiamatela disgrazia. Usiamo le parole corrette: Davide è stato ammazzato, non da un camion fantasma, ma da una persona, incosciente o inconsapevole, distratto o folle, sfortunato o farabutto. Davide è stato ammazzato dall’indifferenza tutt’intorno e verrà ammazzato nuovamente da branchi di idioti che commentano e commenteranno da bestie e inveiscono disumani contro quei rompiballe davanti al cofano, che costringono a rallentare, come se rallentare fosse un sacrilegio.
È morto anche Davide, dopo Michele: due amici, due colleghi, due campioni, due persone. Il ciclismo è una carovana piuttosto piccola ed è normale che quando uno del gruppo viene ammazzato in quel modo, tutti ne siamo sconvolti. Eravamo coetanei, Davide ed io, ci siamo stretti la mano tante volte, ci siamo confidati più di una volta, lui in bici, io a bordo strada dopo il traguardo: ma non frega niente a nessuno di questi dettagli. Siamo in tanti ad avere il magone, questa sera, tuttavia, smettiamola con la stupida e irritante sequela di selfie col morto sui social. Lo conoscevamo in tanti Davide, lo conoscevo io, lo conoscevano molti di voi. Piantiamola e svegliamoci.
È morto Davide, l’hanno ammazzato, ma guardatela, osservatela bene la foto della sua bici accartocciata! Piangiamoci sopra e magari mostriamo quell’immagine agghiacciante a questo Paese miserabile che non vuole cambiare nulla, un’Italia che, nei fatti, non è un Paese civile. Non mi aspetto che la guardino i ministri o i grandi burocrati, quella foto, ma proviamo a mostrarla a chi in mezzo a noi, continua a non capire. La guardi bene anche lei, presidente Dagnoni, che dovrebbe promuovere il ciclismo in Italia: la guardi bene e si chieda chi mai vorrà mandare il proprio figlio in strada a fare il corridore, in questo assurdo Paese. Io, per primo, mai figlia non ce la mando. E magari, quella foto, la guardino anche gli imprenditori, i tecnici, quelli che vogliono il business della bicicletta, quelli che teorizzano la sicurezza, affollano i convegni e parlano a vuoto. Svegliamoci, svegliamo questo popolo di bestie che ci circonda: oggi è toccato a Davide, era un ragazzo come me, che andava in bicicletta per vedere il mondo più bello di quello che è. Domani toccherà a qualcun altro e, se non ci svegliamo, non ce ne accorgeremo nemmeno.
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