Al di là della polemica vecchia tra Moser e Saronni, ripescata un po’ a forza per motivi di… gossip (vi riproponiamo l’articolo con le nostre considerazioni suo tempo, in basso) ci sono alcune considerazioni da fare a livello di comunicazione.
Sono cambiati certamente i modi di comunicare. Le tante possibilità in più non significano maggiori informazioni come sarebbe logico immaginare superficialmente. La questione è più complessa.
Se Moser e Saronni venivano intervistati a caldo, col sudore addosso, appena passata la linea del traguardo, magari con domande sibilline così da farli sbottare e avere una dichiarazione “frizzante”, oggi, proprio con l’aumento degli strumenti di comunicazione, tutto diventa più controllato, contenuto.
Sapete qual è il primo lavoro che fa un bravo addetto stampa di una squadra appena arriva un nuovo corridore, tanto più se giovane? Lo mette in guardia dai social. In qualche caso glieli vieta proprio se capisce che è una testa calda e troppo istintiva.
Il risultato è che invece di avere un rapporto diretto col pubblico, i corridori sono in una bolla di “politically correct”, dicono le cose che vanno dette e si tengono dentro le altre. Il rapporto con l’esterno, a dispetto delle tante possibilità, diventa asettico e patinato. Spesso gli addetti stampa chiedono di vedere prima le domande per evitare incidenti di percorso, magari dispiacere qualche sponsor.
Anni fa, pubblicammo un articolo partendo dalle dichiarazioni di un corridore. Le aveva fatte su Facebook e aveva ragione su tutti i fronti. L’argomento era delicato, aveva ricevuto degli insulti per motivi completamente ingiusti, lui era esploso e aveva raccontato l’episodio occorsogli in cui nessuno di buon senso avrebbe potuto criticarlo. Ma avrebbe facilmente attirato i commentatori compulsivi, odiatori seriali e analfabeti funzionali che i social spesso selezionano. La sua squadra vide una crepa nella comunicazione, minacciarono provvedimenti e noi esaudimmo, pietosamente, la sua richiesta di oblio.
Pensando proprio a questa evoluzione della comunicazione abbiamo chiesto un parere alla “nostra” Alessandra Ortenzi, esperta di strategie digitali e PR sportive, che ha scritto testi sul tema per la casa editrice Hoepli. Ecco cosa ci ha detto:
Nella mia esperienza mi sono occupata tante volte di affiancare gli atleti nella gestione della loro presenza sui social. In ambito federale, per esempio, si sta molto attenti che l’esposizione dei marchi che gli atleti contrattualizzano personalmente, non vadano in contrasto anche e soprattutto per categoria merceologica con i marchi delle aziende sponsor della Nazionale. Allora, quando collaboravo con la Federazione Pallacanestro, era nostro compito monitorare e allertarli soprattutto durante il ritiro della Nazionale. Quello che posso raccontare è che negli ultimi 10 anni la comunicazione e l’utilizzo dei social da parte degli atleti è cambiata molto, è meno approssimata, si è più raffinata forse è anche più realistica pur se resta una cosa fondamentale: l’atleta è concentrato sul risultato, sulla preparazione e più lo sport è di fatica meno l’atleta ha il tempo da dedicare alla sua immagine digitale. Poi le nuove generazioni, invece, hanno una maggiore capacità di gestire la parte sportiva e la parte dedicata alla declinazione della loro immagine sui social media. L’altro elemento che spinge gli stessi atleti a farlo è il contratto che li lega agli sponsor personali.
Ma con tutte queste attenzioni a sponsor e contratti, si è persa un po’ di genuinità e umanità nel contatto tra pubblico e atleta?
Nel 2017 sono stata chiamata ad aiutare alcuni atleti olimpici che non riuscivano a gestire la loro immagine sui social e allora il problema era che le aziende preferivano far fare gli influencer per i loro prodotti a perfetti sconosciuti solo perché avevano tanti “follower”. Così la frustrazione era data dalla pressione dei numeri che aveva la meglio sulle medaglie vinte (parliamo di medaglie Olimpiche oltretutto). Mano a mano che il tempo è passato ci si è resi conto che il valore e il messaggio dello sport andava oltre i numeri e siamo riusciti a costruire tanti progetti anche con community con numeri bassi (relativamente).
Oggi le aziende spingono comunque l’atleta a essere presente sui social ma spesso alle spalle degli atleti ci sono agenzie (come quella per la quale collaboravo io) che sostengono l’atleta e riescono non solo a fare da filtro per lui ma gli costruiscono progetti e gli offrono supporto nella produzione di contenuti.
Appunto, però si perde in genuinità…
Ma no, gli atleti in linea di massima sono genuini come esposizione e se sono forzati te ne accorgi subito. D’altra parte le sollecitazioni comunicative sono davvero tante e non potrebbero gestire da soli tutto: altrimenti non farebbero gli atleti.
Tornando ai nostri ex campioni, fu proprio Saronni a parlare di queste differenze in occasione di una intervista che ci rilasciò. Eccola di seguito:
Di seguito l’articolo sulla “rinnovata” rivalità tra Francesco Moser e Giuseppe Saronni
La rivalità tra Moser è Saronni è più attuale che mai, ci mancava?