2 giu 2018 – Anche quest’anno piovono le critiche sui corridori al Giro, come praticamente ogni anno che non abbiamo un italiano sul podio. Non sono critiche fatte a caso, è vero che ci sono risultati minori da parte dei nostri corridori, ma ci sono dei motivi ben specifici. E la colpa non è degli atleti.
IL WORLD TOUR
È chiaro che con il passaggio al sistema del World Tour l’Italia ne abbia perso parecchio, sebbene molti dirigenti Italiani all’epoca abbiano appoggiato il progetto. In Italia è praticamente impossibile trovare sponsor così importanti da tenere in piedi una squadra World Tour, e quindi non abbiamo più squadre di primissimo livello, e anche se abbiamo corridori di primissimo livello che corrono per squadre straniere, la struttura, in generale, ne risente. Ma la differenza più grande portata dal World Tour è stato il radicale cambiamento dell’ordine di partenza di molte gare: alcune gare hanno perso prestigio, come la Volta a Portugal, mentre altre ne hanno guadagnato, come il Giro di Polonia. Al Giro d’Italia è successo che è stato in parte revocata la possibilità di partecipare agli italiani. La differenza è netta: nel 1997 su 181 al via ben 132 erano Italiani. Quest’anno su 175 solamente 45 erano Italiani. Una bella differenza.
I CAMPIONI CI SONO
È chiaro che non siamo più la nazione di riferimento nel ciclismo. Ma se ci guardiamo intorno, comunque abbiamo sempre le nostre carte da giocare. La Francia ha impiegato decenni per ritrovare qualcuno che lotti in testa alle classifiche generali dei grandi giri. Noi abbiamo Nibali, che quest’anno ha programmato una stagione diversa; abbiamo Aru che ha avuto un periodo storto. Pozzovivo ha giocato le sue carte. Fra i giovani Formolo è lì vicino ai primi. Giovani non ci sono? La maglia bianca storicamente non ha mai portato tanta fortuna. Raramente chi ha vinto la classifica giovani si è poi trasformato in una maglia Rosa.
LA SCUOLA INGLESE
La crescita del Regno Unito è dato da una ricostruzione generale della British Cycling partendo dal basso. Questo è forse il punto dove dovremmo lavorare di più. Io che sono Tecnico Allenatore abilitato sia in Italia che in Inghilterra ho visto veramente la grande differenza di mentalità nel puntare ai giovani, ma non come si fa da noi nella ricerca del talento, bensì nel dare l’opportunità a tutti di mettersi alla prova. In Italia a 13 anni sei vecchio, fatichi a trovare squadra. La categoria con il maggior numero di iscritti è la G5, ovvero i bambini di 11 anni, poi i ragazzi iniziano ad abbandonare. In Inghilterra i ragazzi fino a 15 – 16 anni non hanno alcun problema a trovare squadra, e il picco di numero di iscritti è intorno ai 14 anni.
TECNICA
Io ho sempre amato le cronometro, fin da bambino. Ma non si potevano fare nelle categorie giovanili, e persino quando approdavi agli Juniores il numero di gare contro il tempo era esiguo. Corse a tappe praticamente inesistenti. Ora si sta iniziando a cambiare, ma in Europa le gare a cronometro per i giovani ci sono sempre state, così come le corse a tappe. Forse anche troppe: in Germania e Austria gareggiano così tanto in gare a tappe nelle categorie giovanili che sembrano già professionisti, e questo penso aiuti a bruciare molte giovani speranze. Ci vuole equilibrio, come tutte le cose.
Nel complesso il livello si è alzato, e per gli Italiani impegnati in gruppo ora è più difficile primeggiare rispetto a qualche anno fa, per questo mi sento di difendere chi era in gara al Giro 101. Abbiamo portato a casa diverse tappe con Viviani, anche se questa mentalità ben radicata tipicamente Italiana di portare in auge i velocisti fin dalle categorie giovanili e trascurando spesso i passisti scalatori sicuramente alla lunga ci porterà a non avere un buon vivaio per le gare a tappe, e saremmo sempre costretti ad affidarci al fenomeno, che fortunatamente spesso troviamo.
Stefano Boggia