9 feb 2018 – La settimana di Sanremo è sempre difficile per chi, come me, non ha mai amato il Festival della canzone italiana. Devi isolarti ed evitare di dire qualunque cosa in merito, altrimenti rischi di essere immediatamente etichettato come “snob” o “radical chic”. L’unico vantaggio, se il lavoro te lo concede, è quello di avere un po’ di tempo per pensare, o scrivere, in beata solitudine. Siamo una minoranza significativa, noi che non amiamo il Festival…lo verifico frequentando le community online dedicate al ciclismo. Lì ricorrono spesso messaggi e meme in varie forme riconducibili a questo concetto: “Sanremo per me significa solo Milano-Sanremo, la classicissima di primavera, il Festival non so cosa sia”.
Sono il primo a dirlo: si tratta di una “battuta” molto easy, che strappa un sorriso la prima volta, alla seconda annoia e, alla terza, già scade nella più mesta banalità. Ma è comunque interessante per due motivi. In primis, perché evidenzia due modi diversi di intendere e praticare il concetto di “nazionalpopolare”, anche se la storia ci racconta del felice connubio tra ciclismo e “canzonetta”, anche se molte persone che stimo riescono ancora a far convivere benissimo questi due modi. In secondo luogo, perché questa “battuta” banale mostra una peculiarità degli appassionati di ciclismo, cioè la propensione a costruire una forte dimensione identitaria intorno alla propria passione.
È così per tutte le passioni, ovviamente, ma – risparmiandovi una noiosa trattazione sociologica – posso dirvi che per gli appassionati di ciclismo questo tipo di costruzione identitaria può rivelarsi particolarmente intensa e radicale.
Non è facile essere veri appassionati di ciclismo, in Italia. Si rischia una forma di “stigma” diversa, ulteriore, rispetto a quella riservata a chi afferma di non amare il Festival della canzonetta.
Per spiegarmi meglio, riporto qui un tragicomico aneddoto di vita vissuta che mille volte ho raccontato a voce, ma che mai avevo scritto.
La storia è questa e risale a parecchi anni addietro: inizio a frequentare una ragazza (vabbè, si fa per dire: aveva quasi trent’anni), è luglio, gli impegni sono più rarefatti e così decidiamo di regalarci una “mezza giornata” insieme. Il programma è allettante: pomeriggio a casa mia e, poi, cena in un locale simpatico. La prima metà del pomeriggio va secondo i piani, decisamente gratificante. Poi lei si infila nella doccia. A quel punto io dovrei fare qualcosa di elegante, tipo stappare una bottiglia di Berlucchi e farle trovare un calice, gelato e frizzante, quando tornerà in accappatoio. Lo so perché ho già pensato a tutto: la bottiglia è nel frigo e i calici sono pronti. Ma, a quel punto, il controllo viene preso dalla parte rettiliana del mio cervello da appassionato di ciclismo. Senza volerlo, quella parte del mio cervello ha già guardato l’ora sul display della radiosveglia e ha già fatto tutti i conti: sono ancora in tempo per vedere il finale della tappa del Tour de France! È più forte di me. Invece di stappare la bottiglia, accendo la TV e inizio a seguire le fasi conclusive della telecronaca.
Quando lei esce dal bagno, meravigliosa, mi arriva alle spalle, getta uno sguardo disgustato al video e dice queste parole che mi sono rimaste impresse nell’anima come un marchio arroventato: «…non dirmi che ti piace questa roba da vecchi!».
Incasso il colpo, durissimo, ma non spengo la TV. Inutile dire che la successiva cena non è andata molto bene e che la storia è durata davvero poco.
Ecco…noi veri appassionati di ciclismo sappiamo di avere una vita difficile, sappiamo di avere problemi a spiegare l’essenza della nostra passione alle persone che ci stanno intorno, anche a quelle più vicine. Ma voi, voi che guardate il Festival di Sanremo per un’intera settimana, non avvertite il bisogno di giustificarvi, almeno un po’? Non sapete che lo stigma, prima o poi, tocca a tutti? Se vi state chiedendo perché io abbia perso tempo a scrivere questo lungo e inutile post, sappiate che cercavo solo un modo soft, progressivo e argomentato, per arrivare a esclamare: «…non ditemi che vi piace quella roba da vecchi!»
Paolo Bozzuto
(docente di urbanistica al Politecnico di Milano, autore del libro “Pro-cycling Territory“)