23 nov 2017 – Pinarello ha presentato una bicicletta da corsa a pedalata assistita e “ha fatto il botto mediatico”. Non tanto per la bicicletta in sé che pure è rivoluzionaria per la casa trevigiana, quanto per la comunicazione data che sta facendo discutere un bel po’ sui social.
Pinarello ha presentato la Nytro come una bicicletta che permette cose altrimenti impossibili, perché quello è. Nelle promozioni che girano in questi giorni se ne parla chiaramente: l’uomo di mezza età che si gode la pedalata con gli amici, la ragazza che segue il fidanzato…
Lo confesso, anche io quando parlo di ebike parlo del piacere di poter fare cose oltre i propri limiti fisici del momento. Qualche tempo fa passai due belle giornate in Trentino con moglie e bambine (nel carrellino) a pedalare su e giù per strade che avrei potuto apprezzare da solo, altrimenti.
Però apriti cielo: la pubblicità di Pinarello è stata giudicata sessista tanto che l’azienda è dovuta correre ai ripari ritirandola e scusandosi con il pubblico.
Perché?
Perché c’era intrinseco un giudizio di inferiorità femminile? No, non credo, lo vedo come spunto in più e mi ha fatto tornare in mente quella bella e breve vacanza di famiglia.
Sappiamo tutti che ci sono donne fortissime in bici che si lasciano dietro un bel po’ di maschietti, sappiamo pure che ci sono delle differenze fisiche che non sono decise dalla cultura, ma solo dalla natura. È nell’ordine naturale delle cose, tant’è che nessuno si sognerebbe mai di vedere gareggiare uomini e donne in una stessa classifica di qualsiasi sport. Lo si fa giusto nelle categorie “giovanissimi” quando le differenze sessuali non hanno ancora differenziato le potenzialità degli individui.
È scandaloso questo? Macché.
Invece vedo che nella foga di ricerca di parità si inciampa in queste cose (e no, non penso sia di Pinarello l’inciampo), come se la dignità paritaria passasse davvero nel declinare al femminile nomi nati in un maschile che avevamo sempre considerato neutro e neutrale. Farebbe sorridere se non si facesse sul serio.
Ragionandoci ne ho parlato anche con mia moglie, psicologa psicoterapeuta, pure attenta all’argomento dal punto di vista sociale. La sua risposta è stata chiara: “l’uguaglianza non è essere uguali, ma avere pari diritti”.
«E il problema è proprio qui – ha rilanciato la collaboratrice e amica Elena Borrone – e Pinarello ha perso l’occasione per far vedere come il mondo sia cambiato e stia cambiando, pur rimanendo troppo maschile e maschilista in molti ambiti. Pensa che botto mediatico sarebbe stato se lo stesso messaggio l’avesse fatto dire a un bel ragazzo che “finalmente poteva andare dietro alla sua fidanzata che corre in bicicletta”».
«Sì, Pinarello ha fatto un errore secondo me – rilancia Alessandra Cappellotto, vice presidente dell’Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani (recentemente rieletta) – e capisco che tante donne che si danno da fare a pedalare a tutta si possano sentire denigrate, ma non ingigantirei la questione perché si tende a vedere sessismo dove non ce n’è. Poi visto il momento la pubblicità è diventata inopportuna. Ma delle differenze ci sono e pure, io mi sto dando da fare per far avere uno stipendio minimo alle cicliste professioniste così come è già per gli uomini. Non mi sognerei mai, però, di parlare di stesse cifre, non avrebbe senso perché si tratta di mondi diversi e con visibilità diverse. Sono sessista allora? No, realista: al tempo stesso sto pure combattendo con l’UCI perché il ciclismo femminile possa avere la stessa visibilità di quello maschile, così come avviene nel tennis ad esempio. Allora poi si potrebbe riparlare di cifre e si può immaginare una reale parità in questo senso.
«Pensa che ho un amico, ex corridore, che ha comprato l’ebike alla moglie proprio per andare in giro insieme e ora è lei che vuole uscire in bici più di quanto voglia lui che se n’è quasi pentito! Al di là degli scherzi è un’opportunità sì per fare tante cose insieme, a prescindere dall’essere maschi o femmine perché, come dice perfettamente la Borrone, la situazione può essere vera anche al contrario».
«L’ebike è un’opportunità per tutti e può essere un modo per dare dei segnali di un mondo che cambia – riprende Elena Borrone – D’altra parte che il ciclismo femminile sia in crescita a tutti i livelli lo dicono i numeri. Io pedalo nelle mie possibilità di tempo e forze, ma mi rendo conto che quando dico che “vado in bicicletta” molti (e molte) mi immaginano col cestino e la spesa».
Vero, verissimo, c’è una questione culturale da superare che parla di diversità dove sarebbe da intendere varietà, pluralità, quindi in accezione positiva (rubo un suggerimento al collega Alberto Sarrantonio che tempo fa fece un bel ragionamento sulla traduzione del termine “diversity”), altrimenti avrei da ridire anche per la pubblicità dell’ultra cinquantenne (no, ancora non ci sono, ma non manca troppo) che dice di poter così seguire i suoi amici. Forse mi dovrei offendere anche per tutti i ventenni che mi superano in salita al doppio della velocità?
Guido P. Rubino