24 ott 2017 – Ultracycling è una parola che evoca qualcosa di estremo e in effetti si tratta proprio di pedalare al limite, a volte oltre. All’estremo delle proprie forze e anche degli elementi. Soprattutto all’estremo delle possibilità. Perché certe imprese, pure se le programmi in tutti i dettagli, dal percorso all’equipaggiamento tecnico, hanno sempre qualcosa di imponderabile.
E allora c’è la testa che subentra a dire che il ciclismo è qualcosa di estremamente umano e tale resterà. Anche se spesso siamo abituati a parlare di watt, di grammi, di pulsazioni, di dati e curve di grafici che ingabbiano quel che i corridori una volta riconoscevano dalle sensazioni. Ora, ovviamente, si può fare di più con tanti dati, ma chi arriva a pescare il fondo delle proprie energie ha bisogno anche di qualcosa in più. È qui che subentra la testa a fare da compimento perfetto all’organizzazione.
Ne abbiamo parlato con Omar Di Felice, professione: ultracycler. Uno che si è aggiudicato un bel po’ di gare ed è pure il campione italiano in carica della specialità.
Omar è un ciclista di esperienza anche tecnica. Per questo è l’uomo ideale per le aziende che vogliono provare all’estremo i loro prodotti. Un test su una prova di tanti giorni è qualcosa di molto interessante per capire le caratteristiche dei prodotti, dalla comodità alla tenuta nel tempo. E anche per imparare a regolarsi in situazioni difficili.
Abbiamo chiesto a Omar un po’ della sua esperienza. Dieci domande:
1. Nelle tue imprese ultracycling punti più sulla leggerezza o sull’affidabilità dell’equipaggiamento tecnico? (sei seguito da un’assistenza ma fino a che punto possono intervenire? Ad esempio: hai biciclette di ricambio?)
Venendo dal ciclismo tradizionale cerco sempre di privilegiare la leggerezza e avere delle bici che mi consentano il massimo in termini di prestazione. Ovviamente tutto ciò con un occhio al comfort visto che, sia le gare che le avventure, richiedono una permanenza in sella di giorni e notti intere. Avendo l’ammiraglia di assistenza al seguito, poi, posso contare sul fatto di avere più bici, scegliendo di volta in volta quella più adeguata per le caratteristiche del tratto di percorso che sto affrontando (salita, pianura, condizioni di asfalto difficili, eccetera).
2. Che tipo di equipaggiamento scegli? Nelle foto ti si vede con ruote a profilo medio/basso, mai provato con quelle ad alto profilo? Le trovi troppo scomode?
Solitamente prediligo ruote a basso profilo che mi garantiscono una versatilità maggiore ma, ovviamente, per il discorso di cui sopra, dispongo di tipologie di ruote adatte ad ogni evenienza. Durante Italy Unlimited, ad esempio, sulla Wilier 110NDR (bici studiata con il team Wilier proprio per le lunghe percorrenze e per l’endurance) avevo in dotazione delle Cosmic Carbon Disc con profilo da 40 millimetri. È stato, senza dubbio, l’assetto migliore in termini di rapporto tra performance e comfort.
3. Il telaio è in carbonio, mai pensato ad altri materiali?
Onestamente mi sono sempre trovato molto bene con il carbonio per quanto riguarda il telaio: non vedrei motivi, attualmente, per passare ad altri materiali o leghe particolari mentre, per quanto riguarda attacco e piega manubrio, preferisco componentistica in alluminio. Aiuta, senz’altro, a smorzare le vibrazioni e le sollecitazioni date dall’asfalto.
4. Andiamo più nello specifico di alcuni componenti: hai provato le tubeless di Mavic? Anche in allenamento intendo. Ti è capitato di bucare? Se sì, come si è comportata la gomma?
Hanno fatto un sistema antiscalzamento che evita al copertoncino di uscire in caso di foratura (rischio per cui tra i pro’ non si affermano le tubeless), che cosa ne pensi?
Sono stato tra i primi a poter testare ed utilizzare il nuovo sistema Mavic Tubeless con tecnologia UST e devo dire che sulle mie Cosmic Carbon ho ancora una coppia con ben 8000 chilometri all’attivo. Non ho ancora mai forato e devo dire che, il classico scetticismo iniziale di noi “stradisti” ha ben presto lasciato spazio alla piena consapevolezza che è un sistema destinato a farsi strada ritagliandosi una buona fetta di mercato.
5. Hai mai sostituito un copertoncino tubeless? Come ti sei trovato? (è più duro da fare uscire… accortezze…?)
Ho voluto montare personalmente le coperture ed eseguire la procedura di inserimento del liquido preventivo all’interno delle stesse e devo dire che l’operazione non mi ha impegnato più del tempo con cui solitamente si monta un copertone con la sua relativa camera d’aria.
6. Avevi detto di aver utilizzato scarpe Comete Ultimate. Ma mi pare non per questa ultima impresa, come ti ci sei trovato in generale? Al di là di imprese estreme come le tue, le consiglieresti a un granfondista evoluto? C’è un periodo di “adattamento” viste le caratteristiche della scarpa?
In realtà ho utilizzato le Comete Ultimate durante la mia ultima avventura: durante le prime 24 ore, per testare la durata e la comodità sulle lunghe distanze (cosa da me già sperimentata durante il campionato italiano vinto proprio sulla distanza delle 24 ore) e in alcuni tratti finali. Come ogni altra scarpa dalle elevate performance l’adattamento è soggettivo. Senz’altro le prestazioni offerte dalle Comete Ultimate in termini di rigidità e resa sono superiori a qualunque altra scarpa.
Resta, secondo me, una delle innovazioni più importanti introdotte sul mercato dei componenti/accessori per il ciclismo negli ultimi anni.
7. Hai fatto imprese di ogni tipo o quasi. Anche pedalando nel freddo estremo. Come combattevi il freddo a mani e piedi che sono i punti “critici” per i ciclisti in inverno?
Ho sempre amato l’inverno e, da quando ho iniziato questa nuova carriera “estrema” , le grandi traversate artiche ed invernali sono diventate uno dei punti focali delle mie stagioni. Ovviamente non sono cose che si possono improvvisare e richiedono molto allenamento/adattamento nonché equipaggiamento tecnico adeguato. Mani e piedi sono i due punti critici: per quanto riguarda le mani ho sempre un sottoguanto in lana merinos Brynje che mi aiuta a coprire il primo strato dal freddo estremo. Per quanto riguarda i piedi, invece, il mio consiglio è sempre quello di dotarsi di un paio di scarpe da ciclismo invernali: non esiste alcun abbinamento calza-scarpa estiva-copriscarpa in grado di pareggiare l’efficacia contro il freddo di una scarpa studiata appositamente per l’inverno.
8. Attività fisica e sonno: hai bilanciato sapientemente questi momenti per dare il massimo, come ti regoli? Hai già un programma prestabilito per quante ore pedalare e quante dormire o vai a sensazioni?
La privazione del sonno è, senza dubbio, la parte più difficile della mia attività. L’esperienza mi ha portato ad affinare la tecnica del micro sonno anche se questa, purtroppo, è troppo soggettiva: dipende dalla stagione, dal grado di stanchezza e da quanti giorni bisognerà rimanere in sella. Solitamente riesco a gestire le prime 28-30 ore dando il massimo senza bisogno di alcuna pausa. Da quel momento in poi cerco di attuare la tecnica del sonno di 30-40 minuti massimo ogni 10-12 ore. Durante la mia ultima avventura, soprattutto i primi 3 giorni, sono stati devastanti: non riuscivo a riposare per così poco tempo e, di conseguenza, una volta risalito in sella la resa non era ottimale. La situazione è andata migliorando durante gli ultimi 1500 km che sono riuscito a gestire alternando il corretto ritmo sonno-veglia.
9. Hai provato anche la Wilier Cento10 NDR, come ti trovi? È una bici da ultracyclist ideale si direbbe.
Ho utilizzato durante tutta l’estate la Wilier Cento10 NDR che ha fatto il suo “debutto ufficiale” nell’ultracycling proprio durante l’impresa Italy Unlimited. Di questa bici ho apprezzato sin da subito l’elevato rapporto tra comfort e prestazione. È la prima bici da endurance che mi garantisce anche delle elevate prestazioni e un peso tutto sommato contenuto. È stata la mia scelta per tutti quei tratti in cui cercavo un po’ di comodità o per superare le asperità in condizioni di asfalto non ottimali.
10. Utilizzi un ciclocomputer/gps: cosa preferisci visualizzare sul display? Per chi pedala da solo seguire i propri dati è un modo per “farsi compagnia”. Contano più i watt o le sensazioni (per te ciclista ormai esperto che si conosce bene).
Utilizzo il misuratore di potenza e il cardiofrequenzimetro in tutti quei momenti dell’anno in cui ho bisogno di allenarmi per raggiungere gli obiettivi che mi prefiggo ma, in linea di massima, non amo troppo il condizionamento dato dagli strumenti. Amo prendere la mia bici e partire, consapevole anche del fatto che il miglior strumento siamo noi stessi e che il successo arriva solo attraverso la piena consapevolezza dei propri mezzi e la conoscenza del proprio fisico.
Durante quest’avventura, nello specifico, non ho mai guardato i chilometri percorsi o quelli che ancora rimanevano. Ho completamente scollegato la testa da ogni condizionamento cercando di divertirmi e di godere in pieno di ciò che stavo facendo. Forse anche per questo è stata la mia avventura più emozionante e, tutto sommato, anche quella più semplice da portare a termine.
Redazione Cyclinside