Allegria spagnola e un po’ di casino. Messa così suona irrispettoso per una corsa importante come la Vuelta che fa i conti col maltempo e col non essere il Tour de France. E anche gli organizzatori che dovrebbero essere gli stessi, sembrano prenderla un po’ sottogamba. Oppure non hanno fatto i conti con i corridori che non la considerano alla stessa stregua e allora le cose cambiano. Fate voi.
Ieri mattina, all’arrivo di Barcellona, c’era un lago e transenne cadute per il vento. I corridori hanno fatto la voce grossa e ottenuto la neutralizzazione degli ultimi 9 chilometri. Così la parte considerata più pericolosa, vada come vada, non influisce sulla classifica, gli altri si prendono i rischi che vogliono. Corridori ancora arrabbiati dalla situazione surreale della prima tappa, la cronosquadre finita al buio.
Ampi margini di miglioramento per le prossime tappe, vediamola così. Anche perché sarebbe difficile fare peggio. Basti vedere quanto ci hanno messo a stilare la classifica generale. Meglio non indagare.
Brutte abitudini.
Assuefazione ai corridori che arrivano sul traguardo puntando le dita in su. Ieri è stata la volta di Andreas Kron, in un bel trionfo, a salutare il suo quasi compagno di squadra, Tijl De Decker, appena 22 anni e non ne compirà di più, visto che dopo aver vinto la Parigi-Roubaix di categoria ha finito la sua storia qualche giorno fa, vittima di un incidente in allenamento. Sarà quel cielo nuvoloso carico di acqua, ma viene difficile sorridere in certi momenti del ciclismo.
Chi ha sottolineato in diretta il gesto di Kron non si commuove nemmeno più, sta diventando un tragica abitudine che fa male sempre di più.
L’arrivo al Montjuic ricorda vecchi trionfi, quello di Gimondi al Mondiale del ’73, battendo addirittura Maertens in una volata che per i Belgi fu velenosa e con scambio di accuse reciproche tra Maertens e Merckx (che arrivò quarto). Si parlò addirittura di una rivalità dovuta ai componenti montati sulle bici, il Cannibale aveva Campagnolo, l’altro Shimano, al debutto. Chissà.
Torniamo alle cose belle e attuali però. Come la maglia rossa di Andrea Piccolo che non se l’aspettava nemmeno lui.
Due italiani su due nelle prime tappe.
Se continua così, tutto sommato, ci va pure bene.