24 mar 2017 – Cipollini non passa mai inosservato, sia che si presenti ad un evento, magari a modo suo, in maniera plateale che quando parla di ciclismo. Da campione qual è stato non ha mai avuto uscite banali, spesso sopra le righe, ma certo non superficiali.
Cipollini sono andati a cercarlo perché ha appena compiuto cinquant’anni e magari a vedere se volesse tirare una riga e fare due conti. Non se l’è fatto chiedere due volte supermario dando una bella spallata al ciclismo italiano. Roba che neanche quando faceva le volate (mai scorretto, in realtà). Cipollini, di fatto, ha dato per finito il nostro movimento da cui salva solo Nibali e chiama all’appello Aru. Riflessioni che portano lontano e a un confronto impietoso con gli altri Paesi.
In effetti godiamo di alcune fortune, atleti che nascono e vincono e tengono testa agli “altri” ma, appunto, sono fortune o conseguenza di coincidenze benedette, non il frutto di una programmazione come altre “scuole di ciclismo” stanno dimostrando.
Una crisi di valori come logica conseguenza di un ciclismo che cerca il risultato immediato e non si può permettere di programmare. Pensateci, in Italia funziona così tutto. Chi investe vuole un guadagno immediato, altrimenti pensa ad altro. Chi fa politica (e un certo ambiente del ciclismo segue le stesse logiche) deve portare risultati immediati, altrimenti corre il rischio che del proprio lavoro possa vantarsi il suo successore. Questo accorciare di tempi disintegra la programmazione. Oggi non si può dire ad un potenziale sponsor di pagare subito e aspettare i risultati tra qualche anno. Semplicemente non gli conviene e andrebbe altrove a trovare qualcosa di più redditizio nell’immediato.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: squadre italiane povere e sofferenti, snobbate dagli stessi organizzatori italiani che, per logica di mercato (non è una critica, ma una constatazione) devono investire altrove, con chi gli dia risultati (economici) immediati. E si finisce di costruire il ciclismo di domani. Nessuna squadra World Tour quest’anno vuol dire meno sfogo per i giovani che si affacciano al ciclismo. Meno squadre per crescere tranquilli e meno tempo per crescere. O sei forte subito oppure, probabilmente, non avrai il tempo per dimostrare qualcosa perché gli spazi d’attesa sono pochi.
C’è fretta di risultati e di “budget”. È qui che punta il dito Daccordi nel suo blog. Daccordi è il tipico esempio italiano che deve far pensare tutto il nostro ciclismo. Un produttore che in passato ha sponsorizzato e rifornito team di alto spessore e ora lontano dai pro’ per un semplice motivo di budget. A meno di sponsorizzare una squadra che si rivelerebbe una spesa senza ritorno. E non si può più fare un progetto così, perché non sarebbe nemmeno a lungo termine ma a breve, brevissimo e senza speranze.
Non c’è meritocrazia in questo modo, spiegano da Daccordi, ma la logica è solo economica e questo non dà margini di lavoro a chi ha i numeri. È destinato a rimanere nel suo confine senza poter dimostrare nulla visto che mancano pure le infrastrutture. Lo stesso discorso fatto da Daccordi potrebbe essere applicato a tanti altri marchi e nomi del nostro Paese.
La vittoria di Viviani in pista era stata salutata come un trionfo del ciclismo italiano ma poi abbiamo visto che questo trionfo gratuito (perché il programma della pista italiano è povero e la fortuna di Viviani è stata di correre in una squadra della Gran Bretagna dove si dà spazio alla pista senza vederla come un pericolo o una distrazione da altri obiettivi) è stato sfruttato solo per qualche pubblicità e poco altro. Pochi dirigenti si danno davvero da fare in pista con la difficoltà che le piste sono pure poco accessibili (e ci sarebbero pure). Più in generale manca il programma di crescita che ha portato nazioni inaspettate ai primi posti del ciclismo mondiale.
E come una triste sottoscrizione alla situazione attuale è il comunicato di ieri del fallimento del Gran Premio Liberazione a Roma. Non ci sono più le condizioni economiche per farlo, questo il riassunto dell’organizzatore, Andrea Novelli, presidente di Primavera Ciclistica. A furia di cercare risultati immediati qualcuno ha chiesto troppo e la cassa non c’è più. Ma un’azienda, come quella di un organizzazione importante, non si può basare sul buon cuore di imprenditori appassionati. Alla fine neanche a loro conviene più.
L’unica attrattiva per uno sponsor, a questo punto, potrebbe essere un bel programma lungimirante perché siamo sicuri, di imprenditori con l’occhio lungo in giro ce n’è. Però occorre farsi vedere e convincerli che non gli si stia vendendo fumo.
Guido P. Rubino