10 giu 2016 – Giovanni Meazzo è un quadro di colori brillanti come i suoi occhietti vispi che ti seguono a vedere se lo ascolti. Ne ha mille da raccontare e una lucidità impressionante nel ricordare gli episodi. Te lo immagini benissimo rivedendolo nelle foto e in qualche ritratto sparso per casa. Sguardo rapido di un ragazzino sveglio che quando è salito in bici ne ha fatte vedere di tutti i colori ai suoi avversari. Almeno fin quando non si è dovuto fermare a causa di quel ginocchio che proprio non ne voleva sapere di andare a posto, colpa pure di consigli sbagliati che non hanno saputo farlo guarire. Oggi ogni tanto lo fa soffrire “dicono che è la cartilagine consumata, ma io non mi voglio operare”. Intanto pedala pure “ma non con la bici da corsa eh, solo per andare in giro”.
Giovanni è stato prima il corridore Meazzo, poi è diventato Cicli Meazzo, che ad Alessandria lo sanno tutti. Aveva cominciato suo papà e ora, con la pensione, si è fermato tutto. Ma l’officina sotto casa è tutta lì che potrebbe ripartire da un momento all’altro. Le biciclette sono lucide e perfette, c’è quel mobile infinito con tutti i cassetti aperti che ti viene da pensare che forse non sono stati mai chiusi. Ricolmi di chiavi, martelli, punteruoli, pinze, brugole. Si può costruire una bicicletta partendo da niente lì dentro. C’è sicuramente tutto. Una collezione di biciclette molto ricca e così fornita che ha rifornito la mostra che si svolge, fino al 26 giugno, al Palazzo del Monferrato, nel centro della città.
“Alessandria città delle biciclette” si chiama (qui tutte le informazioni) e andarci con Meazzo è come visitare una mostra dell’impressionismo guidati da Monet. Giovanni ti racconta le biciclette fino nei dettagli. “Di questa abbiamo dovuto ricostruire tutto il tubo che non c’era più e rifare la sella”. E mentre racconta si passa dal primo velocipede alla bicicletta di Gerbi e altri dettagli tecnici: «Quello è il cambio Parigi Roubaix di Campagnolo, un bell’oggetto, ma a me non piaceva mica. Mi trovavo meglio con quello a due leve».
Alla voce di Giovanni Meazzo si sovrappone quella di Massimo Poggio, altro alessandrino doc, professione attore, che ha dato la sua voce per un parte dell’allestimento della mostra.
Le strade dove correva Meazzo erano di quelle difficili, e le corse erano lunghe che non si finiva più, oggi lo chiamiamo ciclismo eroico. Poi magari si tornava a casa da Busto Arsizio ad Alessandria in sella alla moto dello zio, con la bici in spalla. Non era uno scherzo.
Lo zio Antonio seguiva il nipote, promessa del ciclismo, come poteva. Partigiano medagliato che sapeva come farsi rispettare e non si tirava indietro se c’era da menar le mani a difendere il nipote. “Una volta tirò fuori persino la pistola” e sul traguardo arrivarono anche i carabinieri a cercarlo. «Si fece perdonare perché vantava amicizie importanti – sorride Giovanni Meazzo – ma allora era un tipo da averne paura se lo facevano arrabbiare».
Fa un buon caffè il signor Giovanni, lo pressa al punto giusto e sembra forte che se non fosse per quel suo “non ti preoccupare che è decaffeinato”, stava già funzionando l’effetto placebo. Quando ti accompagna giù si mette a chiacchierare nel divano al piano di sotto, quello circondato dalle biciclette. Te la racconta serenamente che nessun episodio potrebbe sembrarti strano. Commenta anche le corse di oggi e sa di tecnica. “Dove vanno con quei cerchi in carbonio” e ti guarda che in un attimo torna quel lampo negli occhi chiari. Forse saprebbe già come scappare via dal gruppo lui, con lo zio a fargli da apripista non si fermerebbe più. Giovanni Meazzo che si allenava con Coppi e Milano. E non si staccava mica.
Guido P. Rubino